A casa suonava meglio…

Le pedalboard digitali mettono a disposizione simulazioni di tutti i dispositivi che possono formare la catena di elaborazione del segnale, permettono di sceglierli, abbinarli e collegarli tra loro nell’ordine che preferiamo.

Il segnale passa attraverso amplificatori simulati abbinati a diffusori/speakers ai quali applichiamo microfoni a scelta, decidendone eventualmente anche posizionamento e distanza.
Possiamo inserire modulazioni, ritardi e simulazioni di ambienti, controllando quindi la collocazione del suono nello spazio tridimensionale: una quantità di possibilità davvero notevole che a volte ci porta a pensare che sia troppo complesso ottenere risultati soddisfacenti, a partire al fatto che molti di questi effetti magari non li conosciamo affatto.

Delle caratteristiche dei singoli filtri o effetti mi occupo diffusamente negli articoli della serie “pillole di elettroacustica” che trovate in buon numero pubblicati in questo stesso blog.

In questo spazio vorrei invece porre l’attenzione sulle problematiche legate alla “trasportabilità dei suoni”, chiarendo meglio da subito ciò che intendo.

Dunque utilizzando una pedalboard digitale moderna abbiamo la possibilità di ricreare un rig completo andando ben oltre la sua composizione, cablaggio e regolazione, dal momento che ci occupiamo anche della ripresa microfonica del suono in ambiente, oltre che della sua caratterizzazione e trattamento.

Dedichiamo tempo e risorse alla confezione dei nostri suoni, ma proprio quando ne siamo soddisfatti e ce li portiamo in sala prove non sempre tutto fila liscio come vorremmo.

SCELTA DEL SISTEMA DI RIPRODUZIONE

La cassa attiva progettata da Headrush

Come prima cosa analizziamo in che modo ascoltiamo a casa i suoni che facciamo.

Abbiamo appurato come nella maggior parte dei casi andiamo a simulare un intero rig ripreso da un microfono.

Bene: tale situazione non è adatta ad essere riprodotta attraverso la cassa di un amplificatore per chitarra. Le casse degli amplificatori per chitarra sono progettatte per riprodurre una gamma di frequenze molto ridotta (sono equipaggiate con speakers per medie frequenze) e con risposta in frequenza per nulla lineare.
Esse rispondono ad un’esigenza particolare, che è quella di “addomesticare” la timbrica dell’amplificatore esaltando le armoniche considerate piacevoli e tagliando quelle che potrebbero risultare fastidiose. In pratica, colorano il segnale in modo molto marcato.
Nel caso della nostra patch, invece, eventuali tagli ed esaltazioni di frequenze sono già stati da noi previsti all’interno delle simulazioni e un’ulteriore colorazione esterna del timbro, per di più non regolabile, non ci serve proprio.

L’ideale in questo caso è dunque appoggiarsi ad una cassa di tipo FRFS (Full Range Full Spectrum), come un piccolo monitor da palco, generalmente dotato di amplificazione autonoma (attiva), che risponde al criterio della maggiore linearità di risposta possibile su tutto lo spettro sonoro.

un rig ibrido analogico-digitale


Nonostante la scomodità a livello di ingombro e pesi, alcuni musicisti preferiscono mantenere il feel dell’amplificazione tradizionale e decidono di continuare ad utilizzare ampli e casse reali abbinati alle proprie pedalboard digitali.

Se questo è anche il vostro caso, dovrete programmare i suoni sempre in questa configurazione, preferibilmente disabilitando fin dall’inizio nel software della pedalboard le simulazioni di cassa e di ripresa microfonica. Programmerete invece a piacimento gli effetti di dinamica, preamplificazione, equalizzazione, modulazione e ritardo. Dovrete considerare anche altri piccoli accorgimenti che vedremo via via.

MUSICISTI O FONICI?

Quale che sia la scelta riguardo al sistema di riproduzione sonora il primo ostacolo che si presenta è il passaggio dall’utilizzo dei semplici controlli di un classico setup analogico al trattamento complesso del segnale offerto dai sistemi digitali.

I display ci mostrano effetti che hanno ben di più dei due semplici parametri di un pedale, filtri ed equalizzatori grafici o parametrici, possibilità di percorsi complessi per il segnale e schermate affollate di contenuti decisamente “tecnici”.

una schermata dell’editor di Line6 Helix Native

Più che dal punto di vista di uno strumentista, insomma, la programmazione di una pedaliera digitale ci porta a guardare le cose da quello di un ingegnere del suono.

E’ un ruolo impegnativo che non tutti gli utilizzatori di pedalboard digitali sono preparati ad impersonare e credo e spero che qualche chiarimento a riguardo possa essere utile per facilitare l’approccio.

Una delle tematiche ricorrenti è la sorpresa negativa che ci aspetta nel momento in cui trasferiamo la strumentazione da casa nella sala prove o sul palco di un concerto.

I suoni che pazientemente abbiamo modificato per ore fino a soddisfare pienamente (o quasi) l’orecchio possono diventare improvvisamente ingestibili, sgradevoli, piccoli, incapaci di venir fuori, sballati di volume, ridondanti di bassi invadenti, troppo cupi o al contrario vetrosi e freddi, con colorazioni alterate e lontane da quelle volute… insomma completamente diversi (di norma in peggio) da come ci aspettavamo che fossero.

Questa situazione può apparire terrificante ad un musicista, ma per un fonico è questione di ordinaria quotidianità.

Vediamo di seguito di chiarire alcuni concetti fondamentali per venire a capo della faccenda.

DIREZIONALITA’ DELLE FREQUENZE

Quando lavoriamo con casse di qualsiasi tipo in ambiente è fondamentale curare la nostra posizione rispetto agli altoparlanti, in quanto possiamo restare facilmente vittime del fenomeno detto “direzionalità delle frequenze”.
Lo spettro udibile, infatti, risulta sempre più influenzato dalla direzione dell’emissione dell’onda sonora man mano che ci si sposta verso le frequenze acute.

Ascoltare uno speaker da una posizione angolata (tanto in altezza, quanto in spostamento laterale) equivale quindi a perdere buona parte delle armoniche alte. Il suono sembrerà più cupo e meno intelligibile via via che ci allontaniamo dall’asse centrale dello speaker. E’ il caso del posizionamento rispetto ai diffusori di un impianto stereo, ma anche rispetto al cono di una cassa per strumenti o di un amplificatore combo.

L’effetto dello spostamento vale sia per il nostro orecchio, che per il microfono: posizionandoci in asse al cupolino dello speaker abbiamo una timbrica più diretta”e brillante, che diventa più morbida ed opaca man mano che ci spostiamo verso il bordo del cono.

come cambia la risposta in frequenza dello stesso speaker ascoltato in asse (verde) o fuori asse (giallo): si notano chiaramente la modifica di risposta in gamma media e la perdita in presenza della gamma acuta

Nel caso in cui stiamo ascoltando i suoni che costruiamo da una cassa dovremo quindi prestare molta attenzione alla posizione del nostro punto di ascolto. L’ideale è porsi in asse rispetto agli speakers, perché bene o male quello è il punto dal quale prima o poi un microfono verrà posto per captare ed amplificare nell’impianto il frutto del nostro lavoro. In alternativa, possiamo posizionarci al vertice di un ideale triangolo equilatero che ha come base la distanza tra le nostre casse, entrambe rivolte verso di esso.

posizioni corrette di ascolto durante la fase di programmazione dei suoni in postazione stereofonica o di fronte ad un singolo diffusore

SUONO ED AMBIENTE

Ogni dispositivo di ascolto di qualità possiede una sua colorazione specifica, definita dal progetto e dalle caratteristiche di costruzione.

Quando però lo poniamo all’interno di un ambiente, questo alterare l’equilibrio timbrico originario e lo fa per di più in modo diverso a seconda del posizinamento del diffusore e della nostra posizione rispetto agli speakers.
L’ambiente si comporta come un equalizzatore multibanda la cui azione di caratterizzazione si somma a quella operata dalla cassa stessa, modificando l’equilibrio delle armoniche e rendendo il suono inevitabilmente “diverso”.

Prima di un concerto, il fonico compie un’operazione fondamentale che viene detta calibrazione dell’impianto. In soldoni, cerca di rendere la risposta in frequenza delle casse di nuovo sufficientemente equilibrata, compensando il fenomeno di equalizzazione arbitraria determinato dall’ambiente.

In questo modo il sistema di diffusione recupera percettivamente la sua “linearità” e riproduce il segnale audio con caratterizzazioni di entità minore assai minore che non sono in grado di provocare stravolgimenti evidenti rispetto all’equilibrio originale.

E’ assai raro che l’ambiente nel quale operiamo a casa sia trattato acusticamente o che possiamo compiere una vera e propria calibrazione del sistema attraverso il quale ascoltiamo i nostri suoni.
Ciò che accade nel passaggio dalla nostra postazione domestica alla sala prove è dunque un cambio radicale di ambiente e di influenza che esso ha sul suono che diffondiamo, nonché l’approdo ad un sistema di ascolto diverso da quello al quale abbiamo fatto riferimento fino a quel momento.

LA LOGICA DELLO STUDIO DI REGISTRAZIONE

La logica con la quale si lavora sui suoni in studio di registrazione può essere molto utile a chiarire ulteriormente il concetto di “trasportabilità del suono”.

Si dice (con ragione) che la macchina più importante in uno studio di registrazione sia… lo studio stesso!

Vediamo perché…

Diffondiamo il suono in un ambiente acusticamente trattato (la sala di ripresa) e lì lo captiamo tramite uno o più microfoni di qualità.
Lo ascoltiamo da un contesto adiacente (la sala di regia), sempre acusticamente trattato e calibrato, nel quale abbiamo un mixer, le macchine di trattamento del suono e l’impianto di riproduzione audio, costituito da uno o più sistemi di amplificazione e diffusione di altissima qualità.

Entrambe le stanze sono progettate per generare una risposta acusticamente neutra se non del tutto lineare, perlomeno priva di eccedenze o mancanze gravi. Il sistema di diffusione è calibrato perfettamente in funzione dell’ambiente nel quale si trova e rispetto al punto di ascolto del fonico.

Tutto ciò serve a permettere di decidere con cognizione di causa quando un suono ci piace e a far sì che ciò che registriamo sia “realmente” ciò che abbiamo ascoltato.

Chiamo questo processo “trasportabilità del suono”, in quanto un suono costruito in questo modo può essere tranquillamente portato in ambienti diversi ed ascoltato su sistemi audio differenti senza che venga mai stravolto nella sua sostanza, al netto della caratterizzazione unica che certamente ogni impianto di riproduzione ad esso conferirà.

Sostanzialmente si tratta di raggiungere un equilibrio simile, nel nostro piccolo, quando costruiamo i nostri suoni.

NON E’ IL SUONO CHE HO FATTO IO

Come può succedere che un suono finemente regolato a casa possa risultare tanto stravolto all’ascolto in un ambiente e in un impianto audio differente?

Alla luce della logica operativa precedentemente descritta lo posso spiegare facilmente con un esempio:

  • riprendo in una stanza non trattata che assorbe energia nella gamma bassa
  • ascolto con casse non calibrate che esaltano le medie in una stanza non trattata che tende ad assorbire acuti e lasciar ridondare i bassi

Comincio a regolare il suono che mi arriva.

Dalla sala di ripresa provengono bassi, ma quella nella quale mi trovo li fa rimbombare e mi induce a pensare che siano ugualmente troppi, quindi alleggerisco finché trovo il giusto equilibrio.

Le mie casse suonano un po’ mediose, per cui istintivamente vado a togliere medi finché il suono torna ad essere piacevole.

La stanza assorbe acuti e quindi il suono mi appare ovattato, senza “aria”. Aggiungo alti e il segnale torna ad essere intelligibile e ben dettagliato.

Tutto apparentemente quadra, ora: sono soddisfatto e registro.

Prendo la registrazione appena creata e la riproduco in un impianto di diffusione calibrato in ambiente acusticamente trattato.

Risultato:

  • i bassi sono sgonfi, il suono è piccolo e manca di spinta
  • la gamma media è sgraziata ed inscatolata, risonante, come se ascoltassi dallo speaker di una radio portatile
  • gli acuti sono in evidente eccesso, vetrosi, freddi, esagerati

Un vero disastro!

L’impossibilità di trasportare il suono senza che venga stravolto è determinata dalla serie di problemi che affliggono tanto l’ambiente di ripresa, quanto quello di ascolto, senza che la nostra percezione possa tenerne conto mentre effettuiamo le regolazioni.
Equalizzando con un riferimento non lineare creiamo una caratterizzazione sonora che risulta indovinata soltanto su quel sistema, che però non è equilibrato.
Una volta costruito il suono con queste premesse, andando in sala prove o sul palco di un concerto e collegando la stessa pedalboard ad un sistema presumibilmente più lineare ricreiamo quasi certamente una timbrica sballata che suonerà sgradevole e comunque ben lontana dalle aspettative.

Vediamo come ovviare in maniera relativamente semplice a questa serie di errori.

IL CONTROLLO DELL’AMBIENTE

Abbiamo visto come possiamo equiparare la nostra pedalboard digitale ad una sala di ripresa con strumentazione e microfoni montati.

Gran parte degli elementi con i quali abbiamo a che fare nel software di programmazione sono equiparabili ad equalizzatori di vario genere, che si affiancano a quelli denominati espressamente come tali. Ciascuno di essi può scolpire il segnale in modo anche molto profondo, aggiungendo o togliendo molti decibel in tanti e diversi punti dello spettro sonoro. Se non abbiamo una percezione più che nitida di ciò che stia accadendo al nostro suono possiamo facilmente andare fuori strada.

Per poter fare un buon lavoro in registrazione dobbiamo dunque poter contare su un ascolto affidabile e lineare, posto in un ambiente acusticamente corretto.

E’ evidente che non sia alla portata di tutti rendere acusticamente corretto l’ambiente nel quale operiamo: possiamo però cercare di tagliarlo fuori!

Per farlo abbiamo almeno tre possibilità:

1) utilizzare casse progettate per operare a cortissima distanza da noi (diffusori “near field”)
2) procurarci delle buone cuffie aperte il più possibile lineari
3) isolarci completamente con cuffie di tipo “in-ear”

Ciascuno dei metodi ha vari pro e contro.

Le casse sono il sistema più realistico a livello di resa spaziale del suono, ma specie nel caso dei modelli più piccoli pagano una mancanza di efficienza nella gamma bassa e di norma regalano minor dettaglio negli acuti rispetto alle cuffie. Stancano meno all’ascolto prolungato, che comunque è un problema da non sottovalutare nemmeno in questo caso. Concediamo sempre generosi periodi di riposo alle nostre orecchie tra una sessione di programmazione e l’altra, evitando così l’assuefazione progressiva che non ci fa più riconoscere eventuali difetti o problemi.

postazione con monitor di tipo “near field”

Le cuffie aperte difficilmente risultano lineari, spesso sono scomode per il peso o per il calore che sviluppano i loro padiglioni attorno alle orecchie e si possono rivelare stancanti nell’utilizzo prolungato. In più rendono in modo non del tutto realistico la spazialità dei suoni, separando completamente un canale dall’altro.
Vanno usate a volumi controllati per evitare danni all’udito.

cuffia aperta professionale

Le cuffie in-ear di alto livello utilizzano componenti specializzati nella riproduzione delle varie gamme dello spettro (drivers) ed offrono un ascolto ancora più dettagliato, isolando completamente dall’esterno. Come tutte le cuffie tendono ad esaltare la gamma degli acuti, ma offrono in compenso una resa efficiente nella gamma bassa.

Un buon compromesso è rappresentato da alcune produzioni “multidrivers” recenti che assicurano una buona linearità anche sulla gamma media. Hanno gli stessi problemi delle cuffie aperte per quanto riguarda la spazialità percepita, l’eventuale scomodità e la stanchezza che provocano nell’utilizzo prolungato. In più vanno usate con particolare cautela quanto a volumi, perché portando il suono direttamente all’interno del condotto uditivo a seguito di un uso sconsiderato possono provocare danni all’udito.

cuffia professionale multidriver di tipo in-ear

Tagliando fuori l’ambiente di lavoro eliminiamo una serie infinita di problemi, che possono sviare dall’ottenimento di risultati soddisfacenti. Una volta trovato il giusto equilibrio timbrico in un sistema di ascolto tra quelli consigliati ci troveremo nella condizione di ascoltare con realismo ciò che programmiamo e di essere al riparo da sorprese di grave entità utilizzando la strumentazione altrove.

Le nostre programmazioni cominceranno a suonare in modo similare a ciò che vorremmo un po’ ovunque, anche in caso di impianti di scarsa qualità… quantomeno potremo imputare esclusivamente ad essi le problematiche che possano evidenziarsi.

Certamente ciò non significa che i nostri suoni siano automaticamente diventati di qualità. I suoni sono nella nostra mente e nelle nostre orecchie, per cui sta a noi concretizzarli imparando a sfruttare al meglio le tecnologie in nostro possesso.

Evitare errori di programmazione dovuti a sistemi di ascolto non idonei è però la prima base sulla quale si fonda un suono di qualità.

FACCIAMO MUOVERE I CONI

Una delle critiche che vengono mosse più frequentemente alle pedalboard digitali è quella di produrre suoni piacevoli, ma di spessore non comparabile con quello delle controparti reali.

Non voglio entrare nel dettaglio riguardo alla qualità dei diversi dispositivi, nè escludere o confermare a priori l’esistenza di un gap imputabile alla tecnologia impiegata (che peraltro è in continua crescita ed evoluzione migliorativa).

L’aspetto che più mi interessa sottolineare è il fatto che quando si suona con un amplificatore reale si tende a sfruttare la sua potenza identificando come adeguato un volume difficilmente raggiungibile in contesti non acusticamente isolati.

Nelle pedalboard digitali gli amplificatori e gli speakers vengono simulati come comportamento e caratterizzazione del segnale, ma quella che ricostruiamo è la “ripresa microfonica” del loro suono. E’ il suono che sente quindi il fonico in sala di registrazione, o quello che ascolta il pubblico dall’impianto di un concerto.

Non è e non potrà mai essere il suono che ci fa tremare lo stomaco mentre siamo ad un metro da una cassa 4×12 che vibra in aria tutta potenza: quel suono, del resto, non lo può percepire nessuno a parte noi.

Per ricreare l’effetto fisico che la pressione sonora generata dal movimento dello speaker in aria produce occorre utilizzare necessariamente un altoparlante reale, che se abbiamo programmato simulazioni di ampli e casse microfonate dovrà essere rigorosamente una cassa full range attiva o un buon impianto voce.

Verificare il comportamento delle nostre programmazioni in situazioni simili a questa sarà importantissimo, a patto di poter applicare una potenza erogata sufficiente a far muovere i coni con la giusta energia.
In mancanza di questa verifica sul campo rischiamo di restare con la sensazione che il sistema reale sia “tutta un’altra cosa” senza comprenderne la ragione.

Pur avendo tenuto sotto controllo i parametri relativi alla calibrazione di ambienti ed ai sistemi di ascolto lineari, se non ascoltiamo almeno in una occasione con la giusta pressione sonora difficilmente possiamo renderci conto se abbiamo raggiunto o meno la “spinta” timbrica che rende gustosa la nostra performance al 100%.

TIRANDO LE SOMME

Ricapitolando, garantire la trasportabilità del proprio suono implica una serie di accorgimenti durante le fasi della sua programmazione.

Scelta oculata del sistema di ascolto:

  • cassa per strumenti (con simulazioni di casse e microfoni della pedaboard disabilitate)
  • cassa attiva FRFS (con simulazioni di casse e microfoni della pedaboard abilitate)
  • monitor da studio di tipo near-field di qualità (con simulazioni di casse e microfoni della pedaboard abilitate)

N.B. in ciascuno di questi casi occorrerà prestare molta attenzione al nostro posizionamento rispetto alla fonte sonora.

  • cuffie aperte lineari di qualità (con simulazioni di casse e microfoni della pedaboard abilitate)
  • cuffie in-ear lineari di qualità (con simulazioni di casse e microfoni della pedaboard abilitate)

Procedure di verifica dei suoni creati:

Casse lineari non calibrate (es Hi-Fi di casa)

collegare la pedalboard all’impianto e provare le varie programmazioni al normale volume di ascolto per verificare che l’equilibrio timbrico generale non sia troppo diverso da quel che si ascolta in cuffia, ponendosi di fronte ad una cassa o al centro del panorama stereo. Non modificare con troppa disinvoltura in funzione di questo ascolto, dato che non rappresenta un riferimento lineare. Meglio controllare soltanto la resa ed agire (con cautela) solo in caso di difetti macroscopici.

Piccolo impianto non calibrato posto in ambiente non trattato

collegare la pedalboard alla consolle e provare le varie programmazioni ad un volume sufficiente a far muovere i coni e a poter verificare la corretta presenza di spinta sulle basse presente ma non invadente, di trasparenza sugli acuti senza vetrosità e di presenza della gamma media ponendosi di fronte ad una cassa o al centro del panorama stereo. Questa è una prova importante, in quanto rappresenta una situazione frequente nella quale ci si può trovare.

Data la mancanza di linearità di risposta del sistema, che può far variare molto i risultati da una situazione ambientale all’altra e non dà garanzie di avere realmente corretto errori dovuti alla nostra programmazione, modificare la programmazione in queste condizioni è rischioso e va tentato soltanto in caso di eccedenze o mancanze veramente eclatanti, mettendo in conto di tornare eventualmente alla programmazione originaria (della quale è sempre indispensabile possedere un backup).

Impianto da concerto o da sala prove calibrato o posto in ambiente trattato

come sopra, collegare la pedalboard alla consolle e provare le varie programmazioni ad un volume sufficiente a far muovere i coni e verificare la corretta presenza di spinta, presenza e trasparenza sufficiente delle varie gamme di nuovo ponendosi di fronte ad una cassa o al centro del panorama stereo. Questa è la situazione nella quale i suoni devono rendere al massimo. Se si notano difetti in questa condizione andranno prontamente corretti, poiché le correzioni risolveranno probabilmente anche la maggior parte delle problematiche rilevate in altri casi (ovviamente solo se dipendenti dalla programmazione della pedalboard).

N.B. in caso di impostazione dei suoni con una cassa per strumenti occorre utilizzare sempre la suddetta cassa e verificarne la ripresa con un microfono (es Shure SM57) opportunamente posizionato e collegato alla consolle