Amplificatori: valvolari e simulati

Qualche nozione teorico-pratica sugli amplificatori puà risultare utile anche quando si va a programmare i parametri di quelli virtuali simulati. Vediamo in breve come sono strutturati e quali parametri siano disponibili su una delle migliori piattaforme di elaborazione del suono delle chitarra attualmente sul mercato.

Gli amplificatori valvolari si compongono di norma di due sezioni:

1) il preamplificatore, che lavora a basso voltaggio (poche decine di V). Qui risiedono le valvole degli stadi di preamplificazione (di solito da 1 a 4, a seconda della struttura, scelte tra le comunemente utilizzate ECC81/ECC82 o ECC83 a seconda del fattore di guadagno necessario), i controlli di tono (che compongono il cosiddetto Tone Stack), i vari filtri (Bright, Deep, ecc.) e l’eventuale controllo di livello (Gain) della preamplificazione stessa.
La sezione “preamp” si occupa di trattare il segnale in ingresso elevandolo di livello, oppure facendolo passare attraverso vari stadi di guadagno (ognuno dei quali costruito attorno ad una delle valvole presenti) che possono creare livelli di distorsione anche molto alti, adattandone in ogni caso le caratteristiche ad essere trattato dalla sezione successiva, detta “finale di potenza”.

2) il finale di potenza ha il compito di elevare il livello del segnale fino a renderlo in grado di pilotare il movimento in aria degli altoparlanti, che creano il suono udibile. Qui risiedono le valvole finali (1, 2, o 4, tipicamente 6L6, 6V6, EL34, EL84, KT88 e così via, a seconda del progetto), che lavorano ad alto voltaggio (dai 350 ai 500V) determinando i W di potenza, il trasformatore di alimentazione, che fornisce tale tensione e la corrente necessaria, il trasformatore di uscita, che regola il rapporto di valori che si stabilisce tra valvole finali e speakers.

TONE STACK:

E’ il cuore timbrico di un amplificatore, a meno che il progetto non preveda di far distorcere anche il finale, caso in cui il pre è comunque una “buona parte” della timbrica dell’ampli. Questo si può dire perché l’impostazione dei principali circuiti storici ai quali bene o male i successori hanno fatto riferimento non è mai lineare, ma presenta sempre una curva di risposta caratteristica, specie nella gamma media.
In generale il tone stack Fender è caratterizzato da un “buco” di frequenze centrato sui 500Hz, quello di Marshall lo porta sugli 800Hz, quello di Hiwatt (il più lineare dei tre) è meno pronunciato e si posiziona sui 1000Hz.

CLASSE:

Gli amplificatori per chitarra si dividono fondamentalmente tra finali in classe A e classe AB.
In soldoni, la classe A “pura” (anche detta “single ended”) vorrebbe che una sola valvola finale si occupasse di amplificare tanto la porzione positiva, quanto quella negativa della corrente (alternata) in ingresso. Questo comporta un iper-lavoro di quella valvola, che “spreca” buona parte dell’energia che produce in calore, lavora a temperature altissime producendo potenza con scarsa efficienza, distorcendo assai facilmente e riducendo la sua durata. Alcuni amplificatori descritti come in classe A operano invece con il sistema “push-pull”, non facendo apssare l’intero segnale in una sola valvola, ma utilizzandone due, una invertita di fase, ciascuna delle quali si occupa di una sola metà dell’onda sinusoidale. Si segue dunque nella maggior parte dei casi il concetto della classe AB, che prevede appunto due valvole finali (o due coppie di esse, per potenze superiori) che si dividono equamente i compiti dedicandosi l’una ad amplificare la semionda positiva della corrente, l’altra quella negativa. Lavorando ciascuna la metà del tempo scaldano meno e durano di più, consentendo di avere anche una maggior riserva di suono clean (headroom).
Uno dei più famosi amplificatori erroneamente ritenuti essere in classe A è il Vox AC30. Anche in questo caso non si tratta infatti di un finale single ended, ma di un push-pull che potenziando la corrente di polarizzazione a riposo delle valvole (complicato da spiegare) fa lavorare due valvole contemporaneamente, una delle quali invertita di fase per far si che si occupi di una sola delle due semionde, come descritto più sopra.

Nel finale di potenza si trova in genere anche la sezione detta “raddrizzatrice”: un circuito che trasforma la corrente alternata in continua, per alimentare il preamplificatore. Tale circuito può essere basato su una valvola (detta appunto raddrizzatrice, ad es. la GZ34) oppure su un “ponte di diodi” a stato solido. La sezione valvolare è poco veloce, per cui aggiunge un maggior effetto di compressione al suono, mentre quella a stato solido conferisce maggiore attacco, reagendo in modo più veloce e senza “tentennamenti” alle richieste del preamp.

A questa sezione fa capo anche (quando presente) il controllo “Presence”, che agisce in modo abbastanza complesso, enfatizzando le armoniche alte e medio-alte che attraversano il finale, di norma in una zona dello spettro differente e più alta di quella di competenza del controllo acuti del tone stack.

SPEAKERS:

Gli speakers utilizzati per gli amplificatori per chitarra sono sostanzialmente dei “midrange”, gli elementi che nelle casse multivia si occupano di riprodurre la gamma media. Sono decisamente scadenti quanto a linearità e tendono ad avere un crollo molto marcato della loro risposta in frequenza al di sopra dei 5-6000 Hz. Oltre a questo sono caratterizzati da una frequenza di risonanza sulla gamma bassa, che viene spesso accentuata in modo anomalo dai cabinets una volta chiusi. Questi, raramente progettati per lo specifico speaker che ospitano, per evitare squilibri troppo accentuati che in qualche caso potrebbero perfino danneggiare l’altoparlante, vengono spesso adoperati in configurazione aperta o semi-chiusa…

Osservando la curva di risposta in frequenza tipica di uno speaker per chitarra, si notano sempre un picco di risonanza nella gamma bassa, una caratterizzazione abbastanza forte sulla gamma media, con un taglio importante tra 1 e 2 kHz ed un crollo tipico (e definitivo) sopra i 6kHz. Ecco perché l’Hi-Cut dei modelli Cab di Helix rende molto bene quando il suo punto di intervento viene drasticamente posto perfino sotto la soglia dei 4kHz…

Al di là dell’ovvia importanza della risposta in frequenza nello spettro (l’unica che sia utile conoscere quando si lavora con le simulazioni), gli speakers del mondo reale hanno due caratteristiche tecniche fondamentali: impedenza e sensibilità.

La prima (2- 16 ohm) è importante perché regola il rapporto con il trasformatore di uscita dell’amplificatore, che in funzione di questo valore eroga la potenza. Un amplificatore che eroga 50W su 8ohm passa a 100W su 4 ohm e a 25W su 16 ohm… Uno speaker di impedenza maggiore a quella dell’amplificatore porta dunque ad una minore potenza erogata e conseguentemente anche a meno volume disponibile, tutto sommato poco male. I guai cominciano invece nel momento in cui l’impedenza dello speaker sia minore di quella dell’uscita dell’amplificatore, perchè l’erogazione maggiorata della potenza può portare a danneggiare i componenti dell’amplificatore.

La sensibilità (o efficienza) di uno speaker misura la pressione sonora da esso generata ad 1 mt. di distanza con 1 Watt di potenza erogata dal finale. Essa determina quindi il volume percepito in ambiente a parità di potenza del finale. Maggiore sarà l’efficienza del cono e più volume avremo a disposizione. Ogni 3dB in più di efficienza si replica la pressione sonora che si avrebbe con un secondo cono identico al primo installato nella cassa. Dunque uno speaker da 100dB di efficienza è sostanzialmente in grado di creare la stessa pressione sonora di due speaker da 97dB!

Possiamo dire che lo speaker sia un componente fondamentale per la definizione della timbrica dell’amplificatore tanto nella realtà, quanto nelle simulazioni, anche se la sua caratterizzazione appare in modo più evidente con i suoni distorti, quando cioè è presente contemporaneamente un grande numero di armoniche da riprodurre che copre pressoché l’intero spettro utile.

I controlli degli amplificatori in Helix

Il software di Helix comprende la simulazione di decine di amplificatori valvolari. Ciascuno di essi ha una serie di parametri non tutti sempre presenti nelle controparti reali. Di seguito vediamo una panoramica delle funzioni che ad essi corrispondono.

Livello PRE (Gain/Drive):

se presente, questo controllo regola la quantità di preamplificazione, spesso creando anche distorsione accentuata per valori alti. La “pasta” di questa distorsione è di norma molto densa ed a seconda delle scelte del costruttore può essere più o meno cremosa o aggressiva.

Livello MASTER (Volume):

regola il fattore di amplificazione del finale di potenza, che a seconda del progetto può lavorare solo all’interno del campo di linearità delle valvole finali oppure generare anch’esso distorsione in varia percentuale: tale distorsione è di solito meno accentuata e molto più “sgranata” di quella di pre, spesso tendenzialmente confusa nella gamma bassa.

Si noti che un valore medio del Gain o del Master di un modello digitale non sempre corrisponde al livello medio della controparte reale, in quanto per ragioni pratiche o di rappresentazione sonora alcuni amplificatori possono essere stati modellati con una regolazione più alta oppure più bassa. E’ quindi bene mettere in conto di dosare il livello in funzione del puro e semplice risultato, in base alle necessità ed indipendentemente dal valore visualizzato.

Ad ogni modo, il volume Master è di norma interagente con tutti gli altri parametri del finale, ma più è regolato basso e minore sarà l’effetto che essi avranno.

Master basso e Gain alto danno distorsioni di prevalentemente di preamp, dunque più dense, mentre Master alto e Gain basso determinano maggior distorsione di finale, con distorsioni più rozze e sgranate.


CH VOL:

Tra i parametri degli amplificatori virtuali di Line6 Helix è presente un ulteriore controllo di livello chiamato CH VOL che non trova riscontro nelle controparti reali degli amplificatori emulati. In effetti tale parametro è stato aggiunto dai programmatori in modo arbitrario al solo fine di ottimizzare il segnale che esce dal blocco PRE-AMP-AMP/CAB e non modifica alcuna caratteristica dei modelli fisici degli amplificatori. Esso opera come un controllo post-amplificatore che lascia inalterato il segnale controllandone esclusivamente l’ampiezza, così come farebbe il fader di una consolle di mixaggio.

SAG:

E’ un fenomeno di compressione del suono che avviene nel finale di potenza, causato dall’incapacità del trasformatore di alimentazione di fornire velocemente la corrente richiesta dal circuito quando si lavora a volume alto. La potenza crolla per un attimo e poi si ripristina, creando un particolare effetto di compressione che si nota anche quando l’amplificatore è già abbondantemente in distorsione.
La SAG non esiste di fatto negli amplificatori in classe A, a meno di apportare modifiche al valore medio della corrente anodica dei tubi (il BIAS appunto).

Livelli bassi di SAG offrono minore risposta dinamica, adatta ad esempio a generi come il metal. Livelli più alti sono invece adatti al controllo della dinamica e del sustain attraverso il tocco, come avviene nei classici riffs rock e blues. Un BIAS alto (vicino alla sensazione di un amplificatore in classe A) riduce gli effetti del controllo SAG.

SAG alto significa quindi più compressione, maggior sustain e attacco della pennata più accentuato.
Al contrario, con SAG basso l’amplificatore appare meno reattivo, specialmente sui bassi.

HUM:

E’ il rumore creato dai filamenti caldi delle valvole. Gli amplificatori a valvole generalmente usano basso voltaggio in alternata nei filamenti delle valvole e questo può generare rumore.
Per valori alti, diventa però fastidioso, perché si crea una distorsione detta “di intermodulazione” causato dalla miscelazione con il segnale della chitarra.

RIPPLE:

E’ il rumore generato dalla corrente elettrica alternata.
Lo stadio di alimentazione di un finale a valvole è filtrato grazie a grossi condensatori: se l’ampli viene utilizzato ad alto volume, questi non riescono a fornire il potere di filtraggio sufficiente e si lasciano attraversare da alcune porzioni di rumore di rete (da noi posizionato su 50Hz e armoniche successive).
Il fenomeno è simile al rumore dei filamenti, ma si trova nella “placca anodica” dei tubi ed ha una forma d’onda differente.

Per valori alti, anch’esso diventa molto fastidioso.

BIAS:

Modifica la “corrente di polarizzazione” delle valvole finali, cioè ottimizza l’assorbimento di corrente di ciascuna coppia di valvole nella loro “regione di linearità” (quella nella quale si ha il massimo effetto di amplificazione con la minore distorsione possibile). Valori bassi di assorbimento fanno ottenere una regolazione detta più “fredda” in classe AB. Regolato al massimo fa operare invece l’amplificatore come fosse sempre in classe A (quindi + distorsione, alto assorbimento di corrente e minore efficienza).

Un Bias regolato più alto rispetto al valore corretto (caldo) accresce lievemente il calore del suono e riduce l’headroom, quindi fa distorcere prima e per livelli minori del Master. In un reale ampli a valvole riduce anche la vita dei tubi (un valore troppo alto può addirittura mandare in corto le valvole finali e bruciare il trasformatore di uscita).
Un Bias regolato più basso rispetto al valore corretto (freddo) rende il suono meno dolce, ma anche più deciso nell’attacco e dinamico nella risposta al tocco.

BIAS X:

E’ il parametro più complicato da comprendere, anche perché la sua azione è blanda e difficile quindi da percepire… Determina il modo nel quale le valvole del finale reagiscono, variando il modo nel quale la corrente di BIAS si modifica nel momento in cui viene richiesta molta potenza. E’ un po’ come il SAG, a differenza del quale controlla però il livello di corrente in corrispondenza del quale il comportamento della valvola cambia a causa di tale variazione momentanea del Bias.
Regolato basso fa ottenere un feel più deciso, regolato alto aumenta lievemente la compressione e la sua azione è fortemente legata anche alle regolazioni di Master e Gain.