Quando si parla di “rig” si intende l’insieme di apparecchiature che a partire dall’uscita jack della chitarra costituiscono la catena di elaborazione del suono dello strumento, attraverso effetti di preamplificazione, equalizzazione, modulazioni e ritardo, fino all’amplificatore, alla cassa ed alla sua ripresa microfonica.
IL RIG
Nel mondo analogico i grandi nomi della chitarra sfruttano da sempre rig estremamente vari, dai più semplici fino ai più complessi, spesso curati da tecnici professionisti di grande qualità.
Chi non abbia a disposizione le professionalità altrui o i grandi palchi delle tournée cura da sé il proprio rig e dedica ad esso grandi quantità di tempo, spesso con grande preoccupazione ed indecisione sugli acquisti che sia più opportuno fare. Chi decide di affidarsi per la prima volta ad una moderna pedalboard digitale, dopo la tribolazione per la sua scelta, si trova di fronte frequentemente ad una situazione confusa con notevoli problemi di gestione.
LA GRANDE ABBUFFATA
Il mondo digitale sfrutta sofisticate tecniche di simulazione che rendono possibile accumulare in una singola macchina decine di dispositivi “virtuali”, quanti probabilmente un musicista non riuscirà mai ad utilizzare davvero in un’intera esistenza passata sui palchi.
Sono dispositivi usati nei più disparati generi musicali, di diverse tipologie costruttive e spesso compaiono con nomi fittizi che ricordano nei modi più vari le controparti reali, per non ledere il copyright dei rispettivi costruttori. Gran parte di essi rappresenta i prodotti più ambiti delle rispettive categorie, ma un chitarrista raramente può averli provati tutti, nè tantomeno conoscere le caratteristiche peculiari di ciascuno.
La filosofia delle pedalboard digitali, d’altra parte, è proprio quella di fornire all’utente una sorta di supermarket della strumentazione nel quale, dopo aver acquistato la macchina, tutto risulta gratuitamente a disposizione. Un’orgia di apparati che da un lato è il punto di forza di questi prodotti, dall’altro può mandare in confusione l’utilizzatore inesperto, qualora la sua conoscenza della materia sia piuttosto limitata.
CONOSCERE PER SFRUTTARE AL MEGLIO
Tipico dei modelers non è limitarsi ad imitare il suono dei vari dispositivi, ma simularne con grande definizione e realismo il comportamento reale e dinamico con tutte le peculiarità del caso. Ecco che quindi la prima condizione per farne un uso proficuo è quella di acquisire sufficienti nozioni e conoscenze di base sul loro funzionamento e su quello di ciò che emulano.
Per fare un esempio, nei modelli degli amplificatori troviamo il parametro Master Level. Nel caso di un amplificatore che distorca solo nel preamp il parametro Master Level influenzerà soltanto la quantità di volume disponibile, mentre in un amplificatore che sia progettualmente in grado di far distorcere anche il proprio finale, lo stesso controllo permetterà di raggiunge il livello di breakup man mano che si avvicina alsuo valore massimo.
Se abbiniamo l’amplificatore ad una cassa troveremo modelli con speaker in alnico, che hanno una risposta timbrica più estesa sulla gamma alta rispetto a quelli ceramici, così come la stessa cassa risponderà in modo diverso se la riprenderemo con un microfono a nastro, dinamico oppure a condensatore.
La prima valenza di un multieffetto a modelli fisici, quindi, è certamente didattica. Leggere il manuale per intero ed informarsi su ogni cosa significa imparare moltissimo sulla teoria di base del funzionamento dei dispositivi simulati. Le conoscenze acquisite non sono naturalmente fini a sé stesse, ma diventano immediatamente utilizzabili per scegliere oculatamente gli elementi dei rig che componiamo a seconda dello scopo che ci prefiggiamo e per controllarne efficemente i parametri.
EDUCAZIONE ALLA PERCEZIONE DEL SUONO
I modelers digitali pongono un problema che spesso (e a torto) viene scambiato per mancanza di qualità o di risposta dinamica rispetto alle controparti reali. Ogni modeler ricostruisce la catena di trattamento del suono partendo dal segnale della chitarra fino alla sua ripresa microfonica, fornendo gli strumenti per ottenerne un controllo molto accurato in ogni fase.
Una tale concezione si scontra con l’abitudine consolidata del chitarrista, specie se non professionista, di regolare gli effetti ed ascoltarsi dalla cassa del suo amplificatore posizionandosi rispetto ad essa nei modi più vari e con le angolazioni più improbabili, senza troppi riguardi per l’ambiente nel quale tutto ciò sta avvenendo.
Ebbene, occorre che ci convinciamo del fatto che “quel” tipo di suono, quale che esso sia, può essere ascoltato soltanto da noi stessi e sopratutto non verrà mai percepito allo stesso modo da chi ci ascolta suonare!
Perché il suono raggiunga il pubblico, a meno di essere su palchi molto piccoli dove si propaghi direttamente in ambiente (così come si sviluppa frontalmente dagli speakers), esso deve essere ripreso dal microfono (che viene posto in prossimità dei coni), inviato alla consolle di mixaggio e riprodotto attraverso l’impianto di amplificazione (P.A.), con eventuali interventi da parte del fonico. Ecco quale suono arriva alle orecchie di chi ascolta: non averne il controllo significa non potersi rendere conto di eventuali errori o difetti, nè tantomeno essere in grado di correggerli.
Valutare il suono in condizione sempre diversa da quella di chi ci ascolta porta a costanti, a volte anche macroscopici, fraintendimenti nella programmazione dei suoni.
Nel momento in cui finiamo di costruire un timbro sulla pedalboard digitale e ne siamo finalmente soddisfatti, i casi possono essere due:
1) abbiamo programmato utilizzando una buona alternativa al P.A. (cassa attiva lineare, impianto voce, cuffie hi-fi o ascolti in ambiente acusticamente trattato) e badando alla posizione di ascolto
2) abbiamo programmato in ambiente non idoneo, senza prestare attenzione alla posizione di ascolto, con un sistema non lineare o comunque di tipo diverso da quello attraverso il quale ci troveremo poi a suonare
Nel primo caso riconosceremo sempre i nostri suoni con buona approssimazione e troveremo poche differenze, facilmente ovviabili, rispetto a ciò che ci dovremmo aspettare.
Nel secondo caso le nostre patch suoneranno in modo del tutto imprevedibile e quasi sempre ben distanti da quel che immaginiamo di aver fatto. La stessa cosa accadrà provando patch realizzate professionalmente da altri musicisti.
CRITICHE AL DIGITALE E PROBLEMI DI PERCEZIONE
Ulteriore annoso problema collegato a quanto appena detto è ciò che fa concludere a molti che il digitale soffra di un gap congenito che lo rende incapace di competere con strumentazione analogica e valvolare.
Premetto che la tecnologia della modellazione fisica è in costante evoluzione, poiché essa sfrutta la sempre maggiore raffinatezza delle rappresentazioni matematiche, resa possibile dalle capacità di calcolo dei microprocessori disponibili sul mercato a prezzi contenuti, è chiaro che il suo sviluppo è assai rapido ed in breve tempo riduce progressivamente ogni tipo di gap.
Ciò detto, la critica che viene mossa al digitale, oltre al minor grado di realismo, è quella di non poter competere con l’analogico quanto a “spessore di suono”.
Questo presupposto trova riscontro probabile in qualche macchina molto economica o datata, ma non di certo nei dispositivi moderni di fascia medio/alta, che vengono usati da tempo anche in ambito professionale.
Ogni costruttore può oggi contare su hardware di altissima qualità e potenza e può garantire una gamma dinamica molto elevata con conversioni AD/DA prive di perdita percettiva. Dobbiamo poi anche tener conto del fatto che la larghezza della banda utile del segnale da gestire è decisamente limitata.
La realtà che sfugge a molti è che, come accennavo più sopra, il suono elaborato da una pedalboard digitale è ciò che il pubblico e non il chitarrista sul palco, è in grado di ascoltare. Il confronto di prestazione va dunque fatto con il segnale che arriva alla consolle di mixaggio ripreso dal microfono, non con la percezione fisica di spostamento d’aria dei coni che solo il chitarrista e nessun altro può avere suonando a pochi metri dalla sua fonte fisica.
Conosce bene tale differenza chi sia abituato all’ascolto che si ha in studio di registrazione: la valutazione del suono si concentra infatti al 100% su quel che coglie e porta in regia la ripresa microfonica e sull’effetto che tale suono ha una volta miscelato con gli altri strumenti.
Questo tipo di abitudine porta anche a considerare la chitarra più facilmente come parte integrata in un contesto più ampio che prevede basso, percussioni, voce, tastiere o altre chitarre, a costituire un insieme nel quale essa deve trovare il suo spazio senza sottrarlo o sovrapporlo ad altri.
Valutare in questo modo porta a ragionare su suoni e frequenze in maniera diversa, in modo più simile a come essi sono stati concepiti nelle registrazioni storiche che spesso prendiamo a riferimento. Suoni che presi da soli non risultano di primo achitto entusiasmanti, lo diventano infatti una volta inseriti nel contesto al quale sono destinati, perchè grazie ad esso si completano e si localizzano correttamente nel panorama sonoro.
Uno dei problemi legati alla percezione di ascolto delle pedalboard digitali è la difficoltà nel ricreare il classico effetto di innesco tra corde e speaker (feedback) che avviene per volumi elevati e vicinanza dell’amplificatore. Così come il suono analogico, anche il suono dell’amplificatore digitale può essere diffuso in aria vicino allo strumento e permette di favorire lo stesso tipo di fenomeno di interazione, ma soltanto se si utilizza una cassa fisica. Non dovremo per forza utilizzare la cassa di un amplificatore per chitarra (ricadendo in tutte le problematiche di programmazione ed ascolto descritte in precedenza), ma potremo servirci anche di una cassa attiva da palco o comunque di tipo Full Range Full Spectrum (FRFS)
Il mio consiglio definitivo è quello di abituarsi se si può alla condizione di ascolto dei suoni in studio, programmando con un ascolto in impianto hi-fi o in cuffia di qualità (oggi si trovano ottime in-ear di qualità professionale a costo abbordabile) e di affidarsi poi alla riproduzione in una cassa attiva lineare. E’ un sistema che elimina parecchi problemi all’origine e garantisce una buona uniformità di resa dei propri suoni in molte situazioni.
CONSIGLI PER LA PROGRAMMAZIONE:
Le righe che seguono contengono una serie di procedure e di consigli in ordine sparso, che sono frutto di esperienza di anni nella programmazione del suono della chitarra attraverso i dispositivi digitali.
I BASSI
Buona norma da osservare sempre è quella di inquadrare il range di frequenze nel quale ci stiamo muovendo: per la chitarra elettrica (6 corde) la frequenza più bassa è rappresentata dagli 82Hz del mi basso a vuoto, Per questo un taglio sistematico delle basse al di sotto dei 100Hz, operata giusto prima degli effetti di ambiente, impedisce di invadere il campo del basso e di sovrapporre frequenze inutili che rischiano di dare fastidio ad entrambi gli strumenti. Preso da solo il suono della chitarra così equalizzato potrà apparire meno completo e pieno, ma assumerà il suo giusto significato una volta che lo ascolteremo suonare sulla parte di basso.
Ci sono più punti della catena nei quali operare tale taglio, ma in particolre si può porre attenzione alle sezioni Cabinet o IR, spesso dotate di filtro passa-alto (Low-cut) che ci fa risparmiare l’impiego di un equalizzatore dedicato.
GLI ACUTI
Porre attenzione alle frequenze comprese tra 2k e 2.5kHz è molto utile per controllare come e quanto il nostro sound possa “bucare il mix”, come si dice in gergo, risaltare cioè rispetto agli altri strumenti, le tastiere in particolare. Un po’di enfasi lo renderà appena acido preso da solo, ma molto meglio percepibile nel mix.
Nel caso di suono distorto si potrà controllare quella che si chiama “zanzarosità” tendendo d’occhio le frequenze più acute, sempre con l’attenzione ben desta a far sì che assieme a suoni come quelli delle tastiere, ad esempio, la chitarra non sparisca. Anche questa regolazione può essere effettuata sfruttando le sezioni Cabinet e IR, agendo
sulla soglia del filtro passa-basso (High cut).
I LIVELLI
Programmando le pedalboard digitali si deve porre molta attenzione ai volumi. Non è mai il caso di arrivare a ridosso del livello di clipping (la distorsione digitale è davvero orribile), ma allo stesso tempo è sempre importante ottimizzare il segnale al fine di sfruttare l’intera gamma dinamica che il processore metta a disposizione. Per farlo abbiamo di solito a disposizione parecchie strategie. Quelle che hanno maggiore attinenza con il mondo analogico riguardano la possibilità di utilizzare pedali di volume oppure booster simulati che potremo includere nella catena. La loro posizione potrà essere prima dell’ampli per cambiare la risposta dello stesso, magari sporcando via via il suono con della distorsione dinamica, oppure a seguire l’ampli, intervenendo quindi esclusivamente sull’ampliezza del segnale.
Alcuni pedali overdrive si prestano ad essere utilizzati anche in qualità di booster, a patto che programmiamo a zero o poco più il loro livello di guadagno: tutto sta a scoprire quali siano tra i vari a disposizione.
Sperimentare scelte diverse, perfino improbabili, è in digitale una strategia del tutto legittima. Le opzioni messe a disposizione dai software di controllo permettono di provare soluzioni perfino apparentemente illogiche, nella totale certezza che ogni nostra decisione potrà essere reversibile e senza tema di causare danni di alcun tipo.
GLI IR
I modelli presenti nelle pedalboard digitali più note ed apprezzate, dalle più economiche fino alle più blasonate, sono caratterizzati da livelli di realismo elevati, che rasentano la perfezione nei modelli di punta. Tuttavia una delle features che restano più interessanti è la possiblità di gestire porzioni della catena di simulazione realizzati da altri produttori o dagli stessi utenti. Tali porzioni consistono in risposte all’impulso (IR) di casse o altri dispositivi, che possano essere introdotte nella macchina attraverso il suo stesso software di controllo. Questa è anche una caratteristica che rende l’orizzonte sonoro della macchina molto più ampio di quello previsto dai suoi stessi costruttori. Tale possibilità apre a prestazioni a volte non raggiungibili con la dotazione di serie, che possono mantenere viva ed attuale la pedalboard per un tempo molto più lungo.
LA STEREOFONIA
La gran parte degli effetti di modulazione e ritardo esiste in versione stereofonica, sfruttando la quale si può conferire ottima spazialità al suono della chitarra.
Durante la costruzione del suono in una pedalboard digitale ci imbatteremo però anche in elementi mono, come amplificatori o casse. L’ordine di apparizione che riterremo più opportuno per i vari stadi dovrà tenere conto di questa cosa: se inseriamo un modulo stereofonico prima di un modulo monofonico renderemo infatti mono l’intera patch!
GLI AMBIENTI
Molto importante per la percezione del suono in sé è certamente la sezione degli effetti d’ambiente. Se escludiamo le simulazioni dei riverberi a molla, che possono anche essere inserite tra pre e finale, gli ambienti andrebbero preferibilmente tenuti per ultimi nella catena di elaborazione/programmazione del suono in digitale. Il riverbero è fondamentale per donare spazialità alla chitarra. E’ però altrettanto importante dosare bene le quantità di riverberazione e i tagli di frequenza sulla parte riverberata per far sì che il suono originario non resti troppo indietro nel panorama del brano o non venga reso poco intelligible da frequenze ridondanti o invadenti.