Da sempre un argomento “caldo”, capace di scatenare le peggiori pulsioni. Preferendo sposare tesi precostituite o magari esposte da persone note, ci si rifiuta spesso a priori di ragionare razionalmente.
Una premessa necessaria
Ho indagato diffusamente sulla relazione tra strumento a corpo solido, elettronica che ne genera il segnale e suono finale che arriva all’ingresso dell’amplificatore.
Sono stato mosso tanto da curiosità quanto da necessità. Ho ritenuto che la mia attività di costruttore di pickup imponesse come un imperativo il fatto di capire, rendermi conto, verificare.
Su questo tema le posizioni sono molto nette in un senso o nell’altro, quasi ci si dovesse dividere in tifoserie contrapposte che difendono interessi contrastanti. Ciascuna delle parti ritiene di avere ragione, nonostante ci sia molta confusione e scarsa bibliografia affidabile sulla quale poter far conto.
Analizzando i fenomeni fisici ritengo fondamentale mettere in discussione o perlomeno verificare quasiasi conclusione che non sia suffragata da elementi razionali.
Ho cercato allora di fare l’unica cosa che ritengo sensata: leggere per quanto possibile la documentazione esistente ed indagare personalmente, con tutto il distacco possibile.
Molte delle afffermazioni appaiono come dogmi, principi indiscutibili, intoccabili, ma in gran parte sono regole non scritte e raramente verificate, tramandate e quasi mai verificate. Ho scelto di farlo seguendo l’unico metodo che riconosco valido in questi casi: quello scientifico. Non sono partito da opinioni consolidate, ma da dati raccolti da me e da altri attraverso misure di laboratorio. Tali dati sono stati ottenuti nel modo più rigoroso e ripetibile possibile, al fine di garantire l’oggettività necessaria a chiarire i dubbi che ci poniamo.
Principi di fondo
Non starò qui ad annoiarvi con la descrizione dei tanti esperimenti condotti.
Piuttosto riporterò le deduzioni e le risposte prive di contraddizioni alle quali essi hanno portato, se pur effettuati in occasioni diverse o seguendo procedure alternative.
Gran parte degli errori di analisi sono attribuibili ad impostazioni fallaci che affliggono il ragionamento fin dall’inizio. Cercherò per ora di sgombrare il campo da cinque punti nodali, non soggetti a speculazione ulteriore, che possano fungere da base di partenza condivisa:
1) le dinamiche che governano il mondo dello strumento acustico non possono essere applicate così come sono a quello delle chitarre a corpo solido
2) i pickup non sono microfoni: non amplificano un segnale preesistente e non captano i suoni o le vibrazioni fisiche che si propagano in ambiente
3) il debole segnale che i trasduttori generano viene alterato in maniera sensibile dal circuito presente sullo strumento
4) i materiali con i quali corpi, manici e tastiere vengono costruiti rientrano tutti in un range ristretto di caratteristiche fisiche ed elastomeccaniche. Sono stati selezionati all’interno di esso proprio perché risultino adatti alla costruzione degli strumenti
5) non esiste componente principale dello strumento che in linea teorica non possa esercitare un’influenza sul suono finale
La chitarra acustica
La chitarra acustica funziona grazie al principio fisico dell’amplificazione naturale del suono da parte di una superficie vibrante (l’elemento attivo) che fa da parete mobile ad un contenitore, costituito da fianchi e fondo dello strumento. Quel contenitore si chiama “cassa” e la superficie vibrante è detta “tavola armonica”. Quando le corde vibrano, creano onde sonore che all’interno della cassa si arricchiscono di armoniche e che il movimento della tavola armonica, che si comporta come una pompa, restituisce amplificate in ambiente.
Al corpo sono incollati manico e tastiera. Il manico sostiene le corde, ancorate sulla tavola armonica tramite il ponte da un lato e alle meccaniche dall’altro. Un capotasto ed un ponticello, di solito in osso, fungono da punti di appoggio.
La distanza tra questi due punti di appoggio si indica con il termine “diapason”.
La chitarra elettrica
La chitarra elettrica solidbody nasce con l’intento di non creare suono udibile in ambiente, abbattendo ogni forma di risonanza della cassa armonica. Per meglio riuscire nell’intento la elimina del tutto, diventando un sistema passivo (che cioè lavora soltanto “a perdere”) e la sostituisce con un elemento rigido in legno massello dello spessore di circa 45mm, detto “corpo”. Al corpo è abbinato un manico che può essere incollato o avvitato, realizzato in un unico pezzo o con tastiera riportata. Le corde poggiano dal lato della paletta su un capotasto in osso, plastica, ottone o grafite prima di arrivare alle meccaniche. Dall’altro lato sulle sellette di un ponte in metallo, fisso o basculante ed avvitato al corpo, ancorandosi poi ad un attaccacorde, anch’esso metallico.
Ancora una volta chiamiamo “diapason” la distanza tra i due punti di appoggio della corda.
L’eliminazione dell’elemento attivo che amplifica è compensata dall’impiego di un sistema alternativo. Esso è basato sull’impiego di uno o più trasduttori elettromagnetici anche detti “pickup”, che convertono la vibrazione delle corde generando un segnale elettrico.
I circuiti degli amplificatori aumentano l’ampiezza di tale segnale di svariati ordini di grandezza
e gli altoparlanti la traducono in onde sonore udibili in ambiente.
La diversità di funzionamento alla base di queste due tipologie di strumenti rende i criteri di valutazione della prima pressoché inapplicabili alla seconda e viceversa. Di questo occorre tenere conto prima di ogni altra cosa. Uno degli errori più comuni nelle valutazioni è proprio quello di utilizzare le categorie che governano lo strumento acustico per quello elettrico a corpo solido.
Il pickup
Il pickup è il dispositivo attraverso il quale la chitarra elettrica acquisisce la sua voce amplificata. Necessitiamo di una timbrica che vada al di là del semplice sferragliamento prodotto dalle corde in ambiente mentre la suoniamo.
Il pickup è un dispositivo statico passivo che crea attorno ad un avvolgimento di filo di rame smaltato un campo magnetico in quiete. Come spiegato dalla legge di Lenz, se tale campo viene perturbato dal movimento della corda, realizzata in materiale ferromagnetico, si crea una differenza di potenziale elettrico ai capi della bobina.
Tale differenza genera una debole corrente elettrica (alternata, a causa del movimento oscillatorio della corda attorno al suo punto di equilibrio) dell’ordine di un paio di Volt e di pochi millesimi di Ampere di intensità.
La corrente passa attraverso un circuito, di norma anch’esso passivo, che prevede controlli di volume e tono. Viene data la possibilità di combinare il segnale delle bobine in serie o in parallelo, qualora siano più di una.
Il pickup è un dispositivo del tutto statico (privo cioè di parti in movimento). Esso capta esclusivamente le variazioni del campo magnetico: è insensibile alle onde sonore che si propagano in ambiente o alle vibrazioni degli oggetti. Per questo è concettualmente sbagliato paragonarlo ad un microfono che risponde invece ai movimenti dell’aria o alle vibrazioni fisiche, traducendoli in segnale.
Una piccola percentuale di sensibilità, detta “microfonicità”, può essere rilevata in alcuni casi. Compare se la struttura del pickup o i suoi avvolgimenti non risultano sufficientemente coesi e stabili.
Tale residuo consiste in una quantità trascurabile se originato da una precisa procedura costruttiva (ad esempio avvolgimenti di tipo vintage non passati in bagno di paraffina). Può rendere il dispositivo inutilizzabile e di qualità pessima nel caso di entità maggiori determinate da un difetto di costruzione vero e proprio.
Posizione
Ciò che più ci interessa notare in questo ambito è che ogni pickup capta le caratteristiche della corda nel punto preciso del diapason nel quale lo abbiamo montato.
Esse variano moltissimo anche a distanza di pochi millimetri, per cui possiamo dire senza ombra di dubbio che il posizionamento del pickup sotto il diapason si dimostra un parametro chiave nella determinazione del suono generato.
A questo fattore si aggiungono le caratteristiche progettuali del pickup che sono in grado di influenzare la colorazione timbrica generale (si tratta della cosiddetta “curva di trasferimento”), l’attacco della nota e la risposta al tocco della plettrata.
Il circuito
Il circuito della chitarra elettrica, salvo casi particolari, è di tipo passivo: non prevede la presenza di fonti di alimentazione. Questo fatto, unito alla debole entità del segnale generato dai pickup, fa sì che esso sia facilmente degradabile e soggetto a modifiche da parte dei componenti presenti nel circuito.
Sia i potenziometri che i cavi creano un effetto non trascurabile sulle componenti armoniche e tipicamente le “arrotondano” nella gamma acuta, che è energeticamente più debole.
Responsabili del fenomeno sono gli effetti capacitivi (l’aumento del valore della capacità elettrica complessiva) creati dalla lunghezza dei cavi e dal controllo di tono, affiancati da quelli resistivi introdotti dai potenziometri (che restano presenti anche quando il controllo è in posizione di “tutto aperto”).
Collegando un analizzatore di spettro all’uscita del circuito appare molto chiaro come il circuito stesso ed i suoi controlli siano tutt’altro che trasparenti nei confronti del segnale originariamente generato dai pickup.
I componenti di tale circuito sono soggetti ad ampie tolleranze di valori rispetto a ciò che si vede stampigliato sui loro involucri, per cui per fare confronti significativi tra due strumenti diversi essi devono sempre essere misurati e selezionati in funzione di una effettiva corrispondenza dei valori dichiarati o perlomeno di una loro equivalenza.
E’ possibile intervenire sui valori dei componenti anche per correggere caratteristiche della timbrica che non ci soddisfano, ma le possibilità offerte dai semplici schemi progettuali passivi non sono tante.
I materiali
In un sistema passivo come la chitarra a corpo solido, nel quale non esiste un elemento “amplificatore”, ogni interazione tra lo strumento e la vibrazione delle corde avviene nell’unica direzione possibile, cioè “a perdere”.
Per comprendere questo concetto si può convenientemente utilizzare un esempio estremo…
Prendiamo due corde identiche e fissiamole ciascuna ai due necessari punti di appoggio. Ancoriamo tali punti di appoggio in un caso ad una lastra di granito, nell’altro ad un materasso.
Se pizzichiamo le due corde noteremo che quella sulla lastra di granito si metterà in moto molto velocemente, conserverà il suo movimento a lungo e con ampiezza generosa. La corda tesa sul materasso faticherà invece a mettersi in moto, lo farà con scarsa energia e si fermerà quasi subito.
E’ evidente il ruolo fondamentale giocato dal materiale sul quale le due corde sono tese. Nel caso del granito assorbe una quantità quasi nulla dell’energia applicata alla corda e nel caso del materasso ne lascia invece una quantità molto ridotta.
Rigidità, stabilità e densità
In particolare dobbiamo osservare che più che al materiale in sé il ruolo deve essere attribuito a due caratteristiche fondamentali che lo definiscono: rigidità/densità e stabilità.
La rigidità unita alla densità è ciò che tiene basso il fattore di interazione energetica e lascia la corda libera di vibrare, con più attacco, volume e sustain. L’ideale è che essa sia anche la più uniforme possibile in tutta la parte utile dello spettro delle frequenze.
Per stabilità si intende invece la capacità del materiale di mantenere inalterata la sua struttura nel tempo.
Fatte queste premesse viene spontaneo concludere che i legni siano dunque un fattore chiave nella determinazione del suono, dell’attacco della nota e del sustain. Questo assunto sarebbe pienamente confermabile se non fosse che poco fa abbiamo parlato di granito e di materasso, non di ontano e frassino… Differentemente dal nostro esempio estremo, infatti, le essenze che negli anni l’industria e la liuteria hanno selezionato per la costruzione degli strumenti rientrano in un range contenuto di valori di rigidità e densità.
Essenze e caratteristiche
Le categorie in cui si dividono i legni sono sostanzialmente tre:
– a bassa densità, impiegati esclusivamente per i corpi (ontano, pioppo, tiglio, frassino)
– a media densità, impiegati sia per i corpi, che per i manici (mogano, acero)
– ad alta densità, impiegati nelle tastiere (palissandro, ebano).
Ciò rende le essenze molto più omogenee tra loro di quanto non si immagini di norma e porta le differenze ad un ordine di grandezza molto piccolo. Possiamo trovare anche essenze di diversa denominazione, alcune delle quali di recente rese scelte obbligatorie a causa di divieti e restrizioni atti a preservare alcune specie a rischio di estinzione, ma rientrano anch’esse appieno nei range stabiliti.
Come tutti i materiali di origine organica, i legni sono soggetti a disomogeneità e variabilità, per cui una costanza perfetta di valori non si ritrova mai tra due tagli diversi, nemmeno se ricavati della stessa pianta.
Tale variabilità si registra più che altro nella costanza di comportamento del materiale lungo tutto lo spettro delle frequenze: può accadere, cioè che in un particolare punto dello spettro una certa parte assemblata (il manico in particolare) risulti meno rigida e stabile.
Perdendo rigidità a quella frequenza il materiale assorbe energia e crea quel che di norma si definisce “dead spot”, una nota morta, cioè un punto di interferenza con la vibrazione della corda che a quella frequenza mostra una parziale inibizione o indebolimento.
Influenza
Quanto di altri fenomeni oltre a questo si ritrovi con evidenza nel suono finale dello strumento è difficile da quantificare. Gli esperimenti eseguiti con rigore scientifico (eventi identici tra loro ripetuti su strumenti diversi e sotto controllo degli strumenti di misura) dimostrano che si tratta di entità scarsamente misurabili, ma sopratutto molto difficili da isolare o da attribuire a questo o a quell’elemento particolare.
Una volta che lo strumento è assemblato, infatti, le caratteristiche di ciascuno dei materiali e delle parti che lo compongono cominciano inesorabilmente ad interagire le une con le altre, creando un “unicuum” peculiare per ciascun esemplare, frutto delle somme e delle cancellazioni date dalle interazioni reciproche.
Pensare di poter suddividere nuovamente questo unicuum nelle sue tante componenti di base è velleitario nonché sostanzialmente impossibile nella pratica. Nemmeno il cambio di una singola parte dà infatti risultati sempre affidabili, perché la sua sostituzione crea implicitamente anche nuove e diverse interazioni tra le parti rimaste invariate.
Tirando le somme
Ogni elemento dello strumento è “virtualmente” in grado di caratterizzare il suono generato dai pickup. Ciò avviene in entità quantitativamente molto diverse tra loro a seconda di quali categorie ci occupiamo.
E’ possibile individuare sperimentalmente delle “macro-influenze”. Esse sono costituite dalla posizione dei pickup lungo il diapason, dalle caratteristiche dei trasduttori e del circuito che li controlla a valle. Troviamo poi una serie di influenze meno marcate, come quelle che riguardano i materiali impiegati.
Come abbiamo visto, essi sono relativamente simili tra loro per caratteristiche. A loro volta risultano gerarchicamente differenziati in funzione delle proprietà elastiche dei componenti che vanno a formare. La maggiore elasticità del manico fa sì che esso possa esercitare un’influenza maggiore rispetto al corpo, che risulta invece più rigido e meno soggetto ad interagire con i modi di vibrazione delle corde. Abbiamo poi l’apporto dei materiali utilizzati per i punti d’appoggio e le opzioni di costruzione: manici incollati o avvitati, tastiere più o meno rigide e via via tutto il resto.
Il “sistema strumento”
Tutto ciò, come abbiamo visto, va a costituire un sistema globale di interazioni. Esse caratterizzano da un lato il singolo strumento, dall’altro rendono di fatto impossibile generalizzare e garantire in dettaglio la prestazione finale prima che la costruzione sia ultimata.
Quanto ogni singola macro o micro-influenza sia percepibile nella prova diretta di uno strumento o perfino nel confronto tra due al netto della psicoacustica è molto difficile da stabilire e certamente varia da caso a caso.
Alcuni elementi sono bene individuabili, altri estremamente sfuggenti. Tutti sono soggetti a condizionamento da parte delle aspettative del musicista, degli scherzi giocati dal contatto dello strumento con il sistema scheletrico e dalla scarsa memoria sonora che caratterizza biologicamente l’essere umano. Qualsiasi valutazione personale, se non suffragata da dati misurati strumentalmente in modo rigoroso e corretto, risulta estremamente poco affidabile e significativa.
E’ importante tener sempre presente che le generalizzazioni sono spesso fuorvianti.
Ha anche meno senso estenderle a qualsiasi elemento minore, che pure conserva un proprio ruolo, perché tutt’altro che lineare e difficilmente identificabile sul campo.
La piuma e l’incudine
Per comprendere questo discorso ricordo sempre volentieri l’esempio della piuma e dell’incudine:.
La teoria ci dice che quando la piuma impatta l’incudine alla fine della sua caduta, il suo peso ha un’influenza sul legame molecolare della superficie metallica tendendo a causarne la deformazione. Lo stesso accade se l’incudine cade sulla piuma. Senza bisogno di scomodare la fisica teorica, appare evidente che le conseguenze pratiche dei due impatti siano di entità molto diversa!
Cerchiamo dunque di applicare lo stesso buon senso anche quando valutiamo i fenomeni che hanno luogo nei nostri strumenti e sarà più semplice accettare realtà diverse da quelle che per i motivi più vari (non tutti nobilissimi) alcuni accreditano come realistiche senza l’appoggio di alcuna base scientifica.
Sintesi
In definitiva il suono di una chitarra elettrica solidbody è colorato da elementi come i materiali (in funzione dei valori di rigidità/densità che li caratterizza), il tipo di costruzione, le corde montate, la qualità di ponte e capotasto ed altri fattori minori.
E’ però plasmato massicciamente dalla posizione dei pickup lungo il diapson (e conseguentemente dalla sua lunghezza), dalle caratteristiche progettuali di detti pickup e dai componenti del circuito presente.
Poi intervengono il materiale del plettro e la tecnica della mano destra, l’amplificatore, la cassa e perché no, l’ambiente nel quale si suona.
Non dimentichiamo poi tutto ciò che attiene alla suonabilità dello strumento: comodità del manico, peso, bilanciamento, ergonomia, funzionalità. Sono fattori che condizionano sempre e non poco il rapporto che si instaura tra la chitarra ed il musicista che la suona e che influenzano in maniera tutt’altro che trascurabile gli stati d’animo che contribuiscono a definire il suo modo di suonare.
La presenza di questi elementi esula però dai fattori di tipo tecnico, perché la si deve alla maestria, talento e professionalità che i costruttori degli strumenti che sceglieremo avranno saputo mettere nella loro realizzazione!