La controversa magia del vintage

Vintage è un termine generico che sta ad indicare oggetti che appartengono al passato, vecchi di almeno 20 anni.
Quando però si tratta di chitarre e bassi la connotazione diventa più specifica e passa ad indicare strumenti sì di vecchia fabbricazione, ma appartenenti a particolari periodi storici che li rivestono di un grande valore economico e collezionistico.

INTRODUZIONE

Negli ultimi decenni questo particolare mercato ha vissuto un rapido periodo di sviluppo, con alti e bassi, che lo ha portato a diffondersi in larga parte del pianeta.
Durante questo arco di tempo il valore collezionistico degli strumenti è lievitato al punto tale che le stesse case costruttrici (non solo quelle storiche e più importanti) hanno cominciato a costruire serie di modelli invecchiati artificialmente, con tecniche che vanno dall’improbabile fino all’iper realistico, dando origine a ciò che conosciamo come “finitura aged” o “relic”. Strumenti sostanzialmente dedicati a chi subisca il fascino del vintage, ma non sia in grado di potersi permettere quello “vero”.

Finitura “Heavy Relic” del Custom Shop Fender

E in effetti, quanti di voi hanno sentito arrivare alle narici quel tipico odore di vecchio che si spande nell’aria alla sola apertura della custodia di una chitarra d’epoca?
Quanti di voi subiscono il fascino delle crepe della vernice nitro, delle plastiche ingiallite o delle morbide linee della lavorazione manuale?
Ma soprattutto: quanti di voi possiedono o hanno posseduto un autentico strumento d’epoca da collezione?

Mi auguro che chiunque abbia almeno occasione di provare per una volta nella vita ad imbracciare e tenere sotto le dita uno strumento vintage di pregio per verificare, o se non altro per farsi un’idea, di ciò che prova un sincero appassionato nel farlo.
Ma questo scritto non è e non vuole essere un’esaltazione del vintage a tutto tondo, tutt’altro: la mia intenzione è quella di tracciare una visione critica del fenomeno e della sua relativamente breve e recente storia.

UN PO’ DI CRONOLOGIA

Per cominciare darei un’occhiata ad alcuni episodi chiave che determinano le condizioni iniziali per la nascita del fenomeno collezionistico negli Stati Uniti e che non possono essere ignorati se si è interessati a capire la genesi di un mercato tanto particolare.

GIBSON

Attorno al 1962, la Gibson Guitar Corporation (tra i principali produttori di strumenti musicali negli USA fin dal secolo precedente) rammoderna il proprio parco macchine passando ad uno standard qualitativo più costante e sostituisce le vecchie bobinatrici usate per avvolgere le bobine dei pickup con modelli più precisi nel conteggio degli avvolgimenti. Per la prima volta vengono definite specifiche e standard ben precisi nella produzione e termina quella che viene chiamata “l’era PAF” (dall’acronimo di Patent Applied For con il quale i trasduttori che cancellavano il rumore di rete, introdotti nel 1956 e prodotti appunto fino al 1962, sono passati alla storia).

Questo accadimento segna una prima linea di divisione sostanziale rispetto alla produzione che segue, nonostante gli strumenti prodotti continuino a mantenere buona parte delle caratteristiche originarie.Le cose cambiano più radicalmente a partire dai primi anni ’70 (periodo ’69- ’83, detto “era Norlin” dal nome che la società prese in quel periodo), quando l’azienda finisce col trovarsi in difficoltà ecenomiche a causa della crisi nazionale e fa alcune scelte volte al risparmio (realizzazione di manici e corpi in più pezzi, impiego di differenti materiali e specifiche per l’elettronica, differenze nella costruzione, ecc.) che vengono mal digerite dalla clientela più esigente.

costruzione del corpo di una Gibson Les Paul del 1972 in due metà di mogano separate da una piccola striscia di acero: indicata come “pancake” è una delle modifiche meno apprezzate del periodo “Norlin”

FENDER

La Fender Musical Instruments Corporation è guidata fin dalla fine degli anni ’40 dal fondatore Leo Fender e nello stesso periodo vanta un’ottima affermazione sul mercato. Nonostante ciò, stretto tra problemi di salute e l’intenzione di permettere uno sviluppo ulteriore all’azienda, Leo Fender decide di cederla alla multinazionale CBS, cosa che accade nel Gennaio del 1965.

una Stratocaster dell’era “pre-CBS” (1956)

La nuova gestione (oggi chiamata comunemente “periodo post-CBS”) rivoluziona gran parte dei processi produttivi operando una serie di modifiche (tra le quali l’attacco del manico a tre viti o il passaggio all’avvolgimento in guida manuale delle bobine dei pickup, avvolte con diverso filo e minor numero di spire) volte a massimizzare i profitti e minimizzare i costi di produzione. Il passaggio è graduale, ma la transizione che si compie porta gli strumenti a marchio Fender verso sonorità differenti e lavorazioni più spartane, con una qualità generale che viene giudicata in calo dagli utenti già alla fine del decennio.

Il vituperato “attacco a tre viti” con regolazione dell’angolazione del manico introdotto nelle Stratocaster post-CBS, che sostituì il precedente che ne contemplava quattro, poi successivamente reintrodotto

IL PUBBLICO

I cambiamenti operati da Fender e Gibson vengono vissuti male dagli affezionati utilizzatori storici dei due marchi, che contestano le modifiche messe in campo per ragioni di ottimizzazione dei costi, tanto nei riguardi della liuteria quanto dell’elettronica.
Certamente le nuove tecniche di avvolgimento, le procedure di costruzione automatizzate, gli alleggerimenti di peso, le modifiche alle specifiche nonché le variazioni del tipo di vernice, delle forme o dei colori danno luogo a strumenti differenti e sotto certi aspetti di minor pregio rispetto a quelli che li hanno preceduti. Ciò spiana la strada a critiche feroci ed all’attribuzione di un generalizzato degrado delle prestazioni (o quantomeno dell’allontanamento da quelle originarie) da parte dell’utenza più tradizionalista.
Sebbene non tutte le nuove caratteristiche portino automaticamente ad un degrado delle prestazioni, questo fenomeno comincia a dar credito all’opinione che “gli strumenti vecchi suonino meglio” ed essa comincia a diffondersi a macchia d’olio nel mercato statunitense, portando ad una ricerca sempre più convinta delle produzioni precedenti che ne altera gradualmente il valore di mercato.

LA NASCITA DEL MERCATO COLLEZIONISTICO

Il mercato degli strumenti musicali d’epoca così come lo conosciamo è primariamente incentrato sugli strumenti Fender e Gibson, ma in misura minore coinvolge anche altri marchi ben conosciuti, come Martin, Guild o Rickenbacker. Come abbiamo visto, si tratta di un fenomeno nato inizialmente negli USA che in questo paese pone le sue radici negli anni ’70, ma che nel corso del decennio successivo si sviluppa e prende piede in molte altre parti del mondo.

La seconda metà degli anni ’70 è segnata in USA da una grave recessione economica e tutti i principali produttori di strumenti musicali della nazione si trovano in grande difficoltà, con numeri di produzione decimati rispetto agli anni passati.
L’inizio del decennio successivo pare far precipitare ulteriormente l’economia fino ai livelli della Grande Depressione del ’29, ma dal 1984 al 1992 il mercato degli strumenti musicali d’epoca comincia miracolosamente a riprendersi, anche grazie all’affacciarsi sulla scena della generazione nata durante il boom economico e demografico degli anni ’50, i cosiddetti “baby boomers”.

I BABY BOOMERS

E’ in questi anni che i nuovi rampanti virgulti, molti dei quali dediti alla scalata del mondo della finanza americana, individuano nell’acquisto di strumenti musicali d’epoca un investimento furbo, con valori in crescita costante e continua e privo di rischi. Di lì a poco si assiste ad una vera e propria frenesia da parte di chi, facendosi forte del boom economico in corso specialmente nel settore immobiliare, considera l’acquisto di strumenti musicali d’epoca un modo per diversificare il proprio portafoglio con buona certezza di rendimento assicurato. Un mondo fino a quel momento appartenuto ai soli musicisti ed appassionati diventa improvvisamente preda dei giovani grandi investitori finanziari, pieni di soldi da far girare, che lo monopolizzano rapidamente.

I nuovi attori sulla scena sono medici, avvocati, imprenditori, mediatori. Essi prendono il posto di musicisti e cultori dello strumento e danno luogo ad un delirio di aumenti continui delle quotazioni, indotti dalla convenienza e dalla sopravvalutazione insensata di alcuni modelli (che arriva a volte a superare il 100%). Le valutazioni degli strumenti d’epoca schizzano in poco tempo verso cifre iperboliche prive di qualsiasi logica e senso. Musicisti ed appassionati, i soli che potrebbero apprezzarli ed utilizzarli davvero, si trovano ad essere sostanzialmente tagliati fuori dagli acquisti, relegati al ruolo di spettatori, impossibilitati ad investire somme di danaro per loro del tutto proibitive.


Anche negli anni ’90 si assiste ad un sostanziale mantenimento di questo stato di cose, con una crescita continua e regolare delle quotazioni degli strumenti che agli osservatori più acuti comincia però ad apparire preoccupante.
Fin dai primi anni 2000, infatti, pochi saggi ed esperti del settore come ad esempio George Gruhn, mettono in guardia dal fenomeno ormai fuori controllo e dichiarano di non credere che si possa ipotizzare una stabilità duratura in tali condizioni. Nonostante ciò, l’apparente miniera d’oro costituita da facoltosi speculatori che non battono ciglio di fronte a Stratocaster prezzate 50.000 dollari e Les Paul arrivate orami ad oltre 300.000, anestetizza il senso critico dei rivenditori e viene accettata di buon grado dai collezionisti, del tutto euforici e convinti che per loro egoistica convenienza il perverso meccanismo vada pienamente assecondato.
Come tutte le bolle speculative insensate, invece, anche il mercato dello strumento vintage è destinato a subire entro breve una botta davvero epocale!

LA GRANDE CRISI

La crisi colossale e generalizzata che nel primo decennio degli anni 2000 colpisce infatti duramente tutti i settori della finanza mondiale affonda infatti con sé anche la bolla del mercato dello strumento d’epoca che improvvisamente, dopo un ultimo folle picco nel 2007, subisce un tracrollo secco con perdite di valore che vanno oltre il 30%!
Di colpo le Les Paul del ’58 pagate 350.000 dollari soltanto un anno prima diventano del tutto invendibili anche a 150.000! Le stesse Stratocaster prezzate 30.000 dollari restano invendute anche se ribassate sotto i 16.000. Improvvisamente nessuno sembra disporre più di denaro da spendere per una chitarra: men che meno musicisti ed appassionati di musica, da tempo pesantemente danneggiati da una crisi che ha oltretutto radici ben più profonde nel passato!

LA RINASCITA

Questo stato di cose raffredda moltissimo il mercato dello strumento d’epoca: riluttanti ad accettare il crollo del valore degli oggetti in loro possesso, molti proprietari di vintage congelano le loro intenzioni di acquisto e di vendita, trascinando tutto il settore in una sorta di standby, un gioco di attese allo scopo di mantenere i prezzi più alti possibile sperando in una nuova ripresa delle quotazioni.
Nel decennio successivo infatti, le inesorabili leggi della domanda e dell’offerta prendono inevitabilmente il sopravvento e gli strumenti d’epoca tornano timidamente a divenire oggetto di commercio a prezzi decisamente più contenuti. Ciò permette a nuovi soggetti europei e giapponesi di inserirsi nel mercato con una presenza via via più avvertibile ed ai musicisti con maggiori disponibilità economiche di tornare nuovamente a partecipare alle compravendite, rendendo possibile ipotizzare un futuro per il mercato dello strumento d’epoca alla luce di una nuova convenienza degli acquisti.

la vetrina di Hyperguitars: negozio di strumenti vintage a Tokio

UN DEJA’ VU

Nonostante il passato dovesse insegnare più di qualcosa a tutti, i prezzi degli strumenti vintage imboccano una nuova ed inesorabile curva di risalita e le quotazioni attuali rendono nuovamente molto difficile per musicisti ed appassionati fruire degli strumenti più ricercati, che nel frattempo sono anche numericamente diminuiti… una Les Paul degli anni d’oro arriva di nuovo a quotazioni da capogiro che sfiorano i 270.000 dollari! Differentemetne che in passato, però, i “baby boomers” sono carichi degli strumenti acquistati anni addietro e non partecipano più granché alle compravendite, mentre le nuove generazioni hanno meno denaro da investire, per cui più difficilmente che in passato diventano collezionisti.

MITO, LEGGENDA E VERITA’

Fin qui abbiamo visto una panoramica storica ed evolutiva di questo particolare mercato.
Ho sottolineato criticamente quanto la parte del leone sia spesso stata fatta dalla finanza, più che dagli utilizzatori e quanto la reputazione di investimenti relativamente sicuri e redditizi abbia plasmato più volte le quotazioni degli strumenti d’epoca, sicuramente molto più che il loro ragionevole valore, sia pure inteso in ambito collezionistico.
Ho ribadito più volte quanto le cifre in ballo sono indubbiamente molto lontane da ciò che il buon senso valuterebbe come congrue e quanto esse taglino fuori dalla possibilità di acquisto la gran parte dei musicisti, con buona pace di coloro che ritengono un fatto conclamato la superiorità incondizionata delle prestazioni di tali oggetti del desiderio.

Ma quanto c’è di vero nelle affermazioni che rendono la possibilità di acquisto di un buon vintage un baluardo al quale tanti musicisti sperano prima o poi di poter approdare?
Quanto c’è di irreparabilmente perso nelle vecchie produzioni che non siamo più in grado di ricreare oggi?
Quanto ed in cosa gli strumenti vintage si rendono unici e superiori nei confronti delle produzioni più recenti?

Alcuni, come chi scrive, tendono ad apprezzare il vintage con equilibrio ritenendo che ogni strumento vada valutato come un caso a sé stante, senza generalizzare nè mitizzare troppo questo quell’anno di produzione.
Altri hanno al contrario una vera e propria diffidenza, quando non direttamente un rifiuto per il vintage e ne contestano decisamente la supposta superiore qualità ad esso attribuita.
Per fare un po’ di chiarezza in questa giungla di passione e sentimenti può essere utile un minimo di analisi il più possibile distaccata dagli elementi, spesso irrazionali, che caratterizzano le discussioni a riguardo.

MIGLIORE O DIVERSO?

Mi sono posto queste stesse domande ed ho cercato risposte, sia in ambito scientifico, che prettamente empirico.
Le conclusioni alle quali sono arrivato sono che indubbiamente materiali, elettronica e procedure costruttive impiegate oggi sono diverse da quelle degli anni ’50. Per contro però in molti aspetti esse sono oggi di qualità migliore: lavorazioni più precise, materiali che rispondono a standard più elevati e più costanti. Ciò non può che dar luogo a strumenti dalle caratteristiche altrettanto positive e costanti.
La timbrica risultante può non essere certamente identica a quella di un tempo in tutte le sue sfumature e caratteri e non è quindi garantito che soddisfi sistematicamente tutti e di più!

Indubbiamente le prestazioni di certi strumenti vintage lasciano spazio per l’esistenza quantomeno di una “diversità” di resa che non è facile ritrovare nelle produzioni degli anni recenti. Le ragioni risiedono in una grande somma di elementi diversi, che vanno dalle specifiche differenti di molte parti e componenti, ai diversi materiali impiegati, fino alle diverse tecniche di costruzione adottate negli anni.
Altrettanto vero è il fatto (confermato dalla prova sul campo di più strumenti dello stesso costruttore e modello) che non tutte le chitarre vintage suonano allo stesso modo e che non tutte regalano prestazioni esaltanti. Ho avuto la fortuna di provare con calma parecchi strumenti d’epoca e mentre alcuni non hanno suscitato in me alcun senso di particolare appagamento, altri mi hanno regalato momenti strepitosi di esaltazione veramente difficili da descrivere.

MERAVIGLIOSA SUGGESTIONE

Certamente il fattore suggestione gioca un ruolo tutt’altro che marginale e quasi sempre accade che la personalità vissuta dello strumento “faccia suonare” in modo diverso chi lo utilizza a causa dell’innegabile influenza psicologica che esso è in grado di esercitare… in alcuni casi, però, la risposta al tocco e le sfumature prodotte dalla plettrata sono veramente differenti da quelle ottenibili con strumenti recenti e qui il campo si fa minato.
Diversità di comportamento e di colorazione timbrica tra un esemplare e l’altro, infatti, si riscontrano per qualsiasi modello, anno o periodo di produzione: per questo preferisco parlare di “diversità” piuttosto che di “superiorità” e ritengo quest’ultima riferibile soltanto a specifici esemplari, piuttosto che indiscriminatamente a tutti quelli considerati vintage.

LE RIEDIZIONI

Per capire quanto tale diversità sia attualmente riproducibile nelle riproduzioni moderne, le cosiddette “riedizioni”, occorre valutare vari aspetti. La riproduzione delle procedure costruttive non pone grandi difficoltà, specie nei piccoli numeri. Più difficile invece risulta reperire materiali che abbiano caratteristiche fisiche coerenti con quelle degli stock presenti a magazzino negli anni ’50 e ’60.
Le vernici impiegate oggi hanno proprietà chimiche differenti rispetto a quelle degli strumenti vintage (a cominciare dalla vernice che chiamiamo “nitro”, etichettata come cancerogena e sottoposta a revisione della composizione originaria) per ragioni di sicurezza e di tutela ambientale, ma fintanto che si resta su finiture sottili è davvero pretestuoso parlare di differenze chiaramente percepibili nella risposta timbrica finale.
Grazie all’introduzione delle macchine a controllo numerico gli strumenti di costruzione moderna possono contare su una precisione di realizzazione ben superiore a quella che caratterizzava i loro antenati, cosa che garantisce in molti casi standard qualitativi più alti. Le morbide linee rifinite a mano degli strumenti d’epoca si possono ovviamente ricreare anche oggi senza problemi, basta volerlo e saperlo fare.

L’invecchiamento di uno strumento è prodotto dal tempo che scorre, da fattori ambientali e dall’usura che deriva dall’utilizzo intenso, ma è un fatto che già negli anni ’50 le industrie utilizzassero legni essiccati artificialmente e che nel caso di strumenti a corpo solido si sa che il passare degli anni non crea modifiche sostanziali tanto nella parte liuteristica, quanto nelle caratteristiche dei metalli o dell’elettronica tali da giustificare una metamorfosi timbrica di qualche genere (stenderei un pietoso velo sulla spesso citata smagnetizzazione dell’alnico, in realtà quantificabile in percentuali del 5% ogni 100 anni a meno del verificarsi di shock che determinino veri e propri malfunzionamenti dei trasduttori stessi).
Le diverse caratteristiche dei pickup sono ben analizzabili e tutto sommato riproducibili con buona efficacia, a patto di saper governare le diverse interazioni che si creano oggi tra i materiali rispetto a quelli disponibili negli anni ’50 o ’60, traducendole in specifiche conseguentemente coerenti.

LE FINITURE RELIC

Al di là dell’importanza sotto l’aspetto puramente estetico, ricreare l’usura degli strumenti d’epoca è possibile con risultati realistici attraverso le raffinate tecniche di “invecchiamento artificiale” indicicate con il termine “relic”. Non tutti le apprezzano dal momento che aggiungono un vissuto artificiale che non appartiene allo strumento. Nonostante questo la moda dello strumento “aged” è molto diffusa e sia Gibson che Fender producono serie rifinite in modo assai credibile (e collocate nelle fasce più alte dei rispettivi cataloghi).

Resta ovviamente inimitabile l’azione di modifica del tempo più radicale e decisiva, ovvero quella sullo strumentista, che man mano che gli anni passano impara a sfruttare sempre meglio lo strumento che possiede!

CONCLUSIONI

Dunque le peculiarità degli strumenti vintage restano così come restano molto forti i dubbi che essi regalino sistematicamente “il Santo Graal” delle prestazioni. Che suonino sempre “meglio”, quindi, non posso dirlo con convinzione, ma sono convinto del fatto che alcuni di essi suonino in modo diverso e sopratutto che tendano a far suonare in modo diverso coloro che li imbracciano, cosa di non poco conto.

Di fondamentale importanza resta poi il sentirsi a proprio agio con gli strumenti che si utilizzano, siano essi d’epoca o recenti e questo posso dire che sia davvero un valore assoluto che difficilmente qualcuno sarà mai in grado di mettere in dubbio.