La storia della chitarra elettrica è fortemente legata allo sviluppo della musica nei primi decenni del ‘900.
Da strumento minore la chitarra cominciava ad espandere largamente la propria popolarità come strumento economico e portatile da accompagnamento.
LA MUSICA AFROAMERICANA
La nascita della musica afroamericana, in particolare del blues, aveva reso la chitarra acustica uno strumento protagonista, per la sua portatilità e la sua relativamente facile reperibilità a basso costo. La possibilità di ricavarne semplici linee di accompagnamento della voce senza la necessità di studi accademici aveva fatto sì che i primi bluesman l’avessero considerata, assieme all’armonica a bocca, la loro scelta d’elezione.
Parallelamente si stava sviluppando la musica Jazz, ma essendo nata in contesti cittadini dopo la fine della schiavitù, i suoi protagonisti si erano adattati a suonare prevalentemente gli strumenti utilizzati dai loro ex padroni, quelli delle bande cittadine, che erano prevalentemente gli ottoni, affiancati dalle percussioni.
Con l’andare del tempo e la diffusione negli anni ’20 della nuova musica nelle comunità nere (e non solo) di tutti gli Stati Uniti, ormai protagonista anche nelle feste da ballo, l’incontro tra ottoni e strumenti a corda (già da tempo si vedevano anche suonatori di banjo) fu inevitabile e si rivelò da subito tutto a sfavore di questi ultimi a causa del preponderante volume dei primi.
Banjoisti e chitarristi erano puntualmente destinati a scomparire negli ensemble dei quali facevano parte.
PLAY LOUD!
Cominciò così a delinearsi l’esigenza di donare agli strumenti a corda un maggior volume di suono e molte persone, tra la fine degli anni venti e gli anni trenta, si misero alla ricerca di un sistema per farlo.
Personaggi come John Dopyera della National String Instrument Corporation avevano sperimentato l’utilizzo dell’acciaio nella costruzione degli strumenti e l’applicazione di risuonatori anch’essi in metallo, altri avevano provato ad ingrandire le dimensioni della cassa armonica…
La delusione per i risultati poco soddisfacenti portò a guardare alla tecnologia per l’epoca più sofisticata, cioè all’elettrificazione, cosa che qualcuno aveva timidamente cominciato a fare, del resto, fin dalla fine del secolo precedente.
I microfoni dei telefoni, gli amplificatori e gli altoparlanti delle radio erano gli unici riferimenti esistenti e i primi esperimenti partirono proprio da lì, scontrandosi con i terribili inneschi causati dall’interazione tra i microfoni e l’amplificazione naturale delle casse armoniche.
IL CAMBIAMENTO
All’inzio degli anni 30 George Beuchamp e Adolph Rickenbacker presentarono ed iniziarono a produrre negli Stati Uniti una chitarra hawaiana in metallo (la famosa “frying pan”) che suonava grazie ad un dispositivo elettromagnetico che captava la vibrazione delle corde e la trasformava in un segnale elettrico.
La cosa non ebbe fortuna, nè risonanza e seguito immediati, a causa della crisi economica, per cui il progetto naufragò di lì a breve.
Fin dal 1936 la Gibson aveva cominciato ad impiegare trasduttori elettromagnetici (di derivazione lap steel) su alcuni modelli di chitarre acustiche. La prima fu la ES150, resa celebre dal primo chitarrista solista della storia, il giovane e brillante Charlie Christian, che morì purtroppo a soli 26 anni nel 1942. Restava però da risolvere il problema del fastidioso innesco al quale l’altoparlante dell’amplificatore collegato dava luogo, facendo entrare in vibrazione le corde per risonanza non appena il volume diventava importante. Il fenomeno era talmente ingestibile da impedire ai chitarristi di sfruttare appieno l’aumento del volume consentito dall’amplificazione, peraltro nemmeno sovrabbondante a causa della potenza ridotta e della dimensione ed efficienza contenuta degli amplificatori e degli altoparlanti disponibili.
Era necessaria dunque una ricerca ulteriore che portasse alla soluzione di tale problematica. Se la cassa armonica rappresentava il problema, l’unica soluzione era vedere se se ne potesse fare a meno!
La storia così come è stata scritta dagli americani attribuisce a loro stessi l’idea di sostituire la cassa armonica con un elemento di legno massello, ma questo è vero soltanto se ci si limita ad osservare quel accadde negli Stati Uniti. In realtà sappiamo ed abbiamo testimonianza certa, da un articolo de “Il Popolo – Gazzetta della sera” del 29 settembre del 1937, di come un tecnico dei telefoni italiano di Galliate (NO) di nome Valentino Airoldi, che per hobby accompagnava gli amici con la chitarra in osteria, avesse già applicato da tempo ai propri strumenti delle capsule microfoniche prelevate dai telefoni, sostituendo la cassa armonica con un elemento di legno solido ed amplificandoli poi con una radio.
La soluzione al problema dell’innesco e l’invenzione della chitarra a corpo solido, dunque, erano già una realtà, sia pure sconosciuta ai più, ben prima che qualsiasi costruttore americano pensasse di cominciare a produrne.
Dalla sua piccola realtà di provincia, Valentino Airoldi non pensò mai di dare un seguito commerciale alla sua realizzazione e quindi il resto della storia continuò a dipanarsi negli USA, usciti nel frattempo dalla crisi, fino a quando anche ad un inventore e musicista che rispondeva al nome di Lester Polfuss (detto “Les Paul”) venne l’idea di applicare un pickup elettromagnetico (uno di quelli che nel frattempo erano stati impiegati nelle slide guitars) su un blocco di pino solido con l’intento di eliminare le risonanze e gli inneschi dalle chitarre amplificate.
CHE LA SFIDA ABBIA INIZIO!
La proposta di Les Paul arrivò sul tavolo di Orville Gibson, patron della più grande e longeva azienda di costruzione di strumenti a corda degli USA, ma improvvidamente egli non se la sentì di rischiare su un progetto tanto ardito.
Di lì a poco un riparatore radiofonico che non sapeva suonare la chitarra e strimpellava a malapena il sax, ma aveva cominciato a produrre steel guitar elettrificate, diede invece vita di sua iniziativa alla più fortunata produzione di strumenti a corpo solido della storia.
Negli stessi anni in cui Les Paul sperimentava, infatti, Leo Fender stava pensando di applicare alla chitarra i principi già collaudati sulle sue lapsteel e lo fece davvero nel 1949, presentando una semplice forma di legno massello a spalla mancante con un manico avvitato in sede con quattro viti: era la spartana “Esquire”, subito ribattezzata “Broadcaster” e poi, definitivamente, “Telecaster”.
Costruita con criteri meccanici per essere facilmente montata, smontata e riparata, oltre che priva di finiture per restare sufficientemente economica, la Telecaster si fece fin da subito strada specie tra i musicisti country, che la videro come ideale sostituta del banjo per il timbro incisivo e sferragliante. Tale suono era generato da un unico pickup montato angolato di circa 14 gradi su di una piastra di metallo vicino alle tre sellette che reggevano le corde.
L’interesse immediato dimostrato dal mercato per questa novità costrinse Orville Gibson a tornare sui suoi passi, richiamando Les Paul ed ingaggiandolo a tempo pieno per non perdere troppe quote di mercato, animati anche dalla necessità di doversi differenziare dalla timbrica che Fender stava nel frattempo imponendo come riferimento.
Così nel 1952, mentre Leo Fender aveva nel frattempo dato vita al primo sostituto solido del contrabbasso (uscito nel 1951 con paletta della stessa forma della Telecaster e pickup a singola bobina, evolverà poi nel 1957 nel Precision bass) arriva sul mercato la Gibson Les Paul, una chitarra elegante che conserva, rimpiccioliti, alcuni tratti estetici dello strumento tradizionale. Una spalla mancante, manico incollato al corpo, costruzione, materiali impiegati e finiture di pregio maggiore rispetto al prodotto Fender. Conseguentemente maggiore anche nel prezzo, ma la dotazione elettrica prevede due pickup (P90) con controlli dedicati e lo stesso ponte attaccacorde utilizzato sulle chitarre a cassa vuota. Allo scopo di stupire a tutti i costi, la Les Paul viene presentata in un’inedita e spettacolare finitura dorata, che oggi ben conosciamo con il nome di “gold top”.
BOTTE E RISPOSTE
Di lì a poco Leo Fender rispose dotando anche la sua Telecaster di un pickup in più e di un circuito speciale che la poteva far suonare simile ad un basso.
Nel 1954, Fender spiazzò nuovamente il mercato con l’introduzione di uno strumento rivoluzionario, che prevedeva tre pickup, un corpo sagomato in maniera ergonomica ed un ponte basculante con leva del vibrato. Era nata la Stratocaster.
SVILUPPO
Da questi eventi in poi sappiamo che queste due aziende hanno continuato per lungo tempo a contendersi il primato, sia pure ciascuna con alti e bassi, prima che nuovi competitors americani ed europei si affacciassero sulla scena. Negli anni ’70/80 l’ascesa dei costruttori giapponesi prima, la globalizzazione e le produzioni cino-coreane poi, hanno ulteriormente trasformato il mercato così come lo vediamo oggi, lasciando nonostante tutto che la chitarra elettrica a corpo solido, in un contesto produttivo quantomai complesso ed articolato, continui ad essere uno degli strumenti più diffusi al mondo.