Mille e uno Overdrive

Un po’ di storia…

Come il termine suggerisce,è, valvole e speakers, che in particolari condizioni non garantiscono più la loro risposta lineare.
Fin dall’inizio dell’elettrificazione della chitarra i chitarristi notarono che quando chiedevano ai piccoli amplificatori disponibili maggior potenza rispetto a quella che erano in grado di erogare essi cominciavano a produrre un deterioramento progressivo della loro prestazione che sporcava il suono dello strumento.
Dapprima evitarono di incappare nel fenomeno, ma in seguito questa anomalia cominciò a suggerire un utilizzo più spregiudicato sia della strumentazione che della chitarra elettrica stessa.

Come esempio della pratica dell’uso esplicito della distorsione “in studio” si cita spesso una registrazione del 1964: pare infatti che in quell’anno, per incidere la sua parte nel brano “You really got me” dei Kinks, il chitarrista Dave Davies tagliò con una lametta il cono dello speaker del suo amplificatore prima di cominciare a suonare, creando così un suono sporco e slabbrato.
In realtà già negli anni ’40 (come si può ascoltare ad esempio nell’incisione di “Bob Wills Boogie” del 1946 ad opera del chitarrista Robert Junior Barnard) alcuni chitarristi suonavano e registravano con l’amplificatore in “crunch”.
Altro esempio eclatante di amplificatore distorto di epoca decisamente “pre Kinks” lo troviamo in un album di Ike Turner (marito di Tina) del 1951, alla registrazione del quale il chitarrista della band si ritrovò ad utilizzare forzatamente un amplificatore danneggiato durante il trasporto.
Si racconta che il risultato fu talmente seducente che di lì a breve, corsa la voce, altri chitarristi decisero di danneggiare deliberatamente i propri amplificatori nell’intento di ottenere lo stesso effetto!

In breve tempo la distorsione dell’amplificatore divenne dunque una condizione ricercata da molti ed il suono distorto divenne, come sappiamo, la base fondante del nascente movimento Rock che avrebbe scosso le cronache musicali degli anni ’60 e ’70.

Fin dall’inizio degli anni ’60, tanto i finali a valvole usati perennemente fuori dalla loro zona di linearità, quanto i tagli dei coni degli speakers mostrarono gli evidenti risvolti negativi, esponendo la strumentazione a guasti e riparazioni continue e costose. Se da un lato gli amplificatori divennero in breve tempo più potenti ed equipaggiati con diffusori che contenevano fino a quattro speakers, dall’altro cominciarono a nascere circuiti che utilizzando componenti a stato solido alimentati a bassa tensione erano dedicati alla produzione esclusiva della distorsione. Tali circuiti, inseriti in piccoli contenitori posti sul palco ed attivabili a piede, furono detti “stomp box” e permisero di utilizzare l’amplificazione con maggiore affidabilità e sicurezza.

I primi pedali

Uno dei primi esempi di distorsione “da stomp box” registrata lo troviamo in “Satisfaction” ad opera di Keith Richards, che nel 1965 utilizzò un circuito di tipo “fuzz”, il Gibson Maestro.

I circuiti che distorcono fanno sostanzialmente capo a tre categorie: overdrive, fuzz e distorsori.

Lo scopo che si prefigge l’overdrive è quello di riprodurre la distorsione “naturale” dell’amplificatore portato oltre la condizione di suono pulito dal volume troppo spinto (breakup). In realtà la maggior parte degli overdrive è però in grado di generare più distorsione di quanto possa fare un piccolo valvolare da pochi watt al limite della rottura ed è caratterizzato da una “pasta sonora” più densa, morbida e soprattutto meno ruvida di quella dei fuzz.

Fin dai primi anni ’60 vennero prodotti i “fuzz” (come appunto il Gibson Maestro FZ-1 del ’62), che riproducevano senza tanti fronzoli (pur aumentandone non di poco l’entità) la distorsione cruda, confusa, sgranata e poco aggraziata dei valvolari “strozzati”, aggiungendo una certa tendenza a soffocare le armoniche alte.
Date queste caratteristiche il rapporto dei chitarristi con questi pedali è stato (e tuttora è) di amore/odio… piacciono molto oppure non li si sopporta! Poche sono le eccezioni alla regola, come nel caso di David Gilmour, che da sempre utilizza pedali fuzz come base del proprio sound distorto (quasi sempre affiancati da overdrive più classici), ma profondamente modificati nel circuito (dal celebre “techni-star” Peter Cornish) in modo da renderli ben più musicale e più vicini al concetto di distorsione di un preamp, che non di quella di un finale.

L’ultima categoria è costituita dai cosiddetti “distorsori”, pedali che generano livelli di distorsione molto più elevati delle precedenti, creando sonorità molto aggressive che sono state alla base della nascita del movimento Metal fin dagli anni ’70. Sono stati commercializzati in centinaia di versioni diverse dalle sonorità più variegate.
Tra i primi modelli ricordiamo certamente l’MXR Distortion +.

Jimi Hendrix fu uno dei primi chitarristi ad uscire dal duopolio chitarra/amplificatore, utilizzando sul palco anche degli effetti a pedale. Nonostante utilizzasse amplificatori (dapprima Fender Twin e DualShoman, ma poi Marshall JTM45) con il solo controllo di volume Master regolato sostanzialmente al massimo, era solito cercare ulteriore spinta da pedali fuzz (tra gli altri il “Fuzz Face”, prodotto dalla Dunlop dal 1966), affiancati dall’uso frequente di Vox Wha-wha, Univox Uni-Vibe (Chorus/Vibrato) ed altri.

Un panorama intricato

Il mercato attuale dei pedali overdrive (come tutto il mercato dei pedali in genere) è costituito da un numero sterminato di prodotti, la maggior parte dei quali deriva però da pochi progetti iniziali.
Districarsi in questa giungla è davvero un’impresa.

Storicamente, negli anni ’70 troviamo due marchi giapponesi impiegare grandi risorse nella commercializzazione di overdrive destinati a diventare dei “capostipiti”: sono la Ibanez, con il suo “Tube Screamer” TS808 (in realtà creato dalla Maxon con il nome di OD808) e la Roland-Boss con l’OD-1, al quale sarebbe poi seguita tutta una serie di modelli successivi. Entrambi questi pedali sono construiti interamente con componenti a stato solido, ma propongono una distorsione moderata, dalla pasta molto densa e musicale, impostata sulla simulazione della distorsione di preamp degli amplificatori a valvole.

Dall’altra parte dell’oceano si rispondeva con il Muff PI della Electro-Harmonix (1969), un fuzz di progettazione russa ad opera della Sovtek, con il DOD Overdrive 250 (1973) o con il RAT della Pro-Co (1978), pedale estremamente musicale e versatile e più tardi, negli anni ’90, con il Klon Centaur, un progetto decisamente innovativo, che gestisce il segnale internamente a 18V, lo tratta dividendolo per bande grazie ad una sorta di crossover, ed è pensato per essere utilizzato anche come booster per amplificatori o per altri overdrive.

L’attacco dei cloni

Dal momento che il diritto di copyright in elettronica è sostanzialmente inapplicabile, ognuno di questi (ed altri) “capostipiti” ha dato luogo ad una serie infinita di cloni, di copie modificate e di derivati, creando così un mercato di migliaia di marche e modelli differenti, buona parte dei quali per una ragione o per l’altra ripropongono all’infinito variazioni più o meno piccole sul tema del circuito e del sound dei progetti originari. Non ci si meravigli più di tanto di questo, dal momento che la stessa cosa è accaduta per gli amplificatori, i cui costruttori ancora oggi si basano su progetti (contenenti perfino errori concettuali grossolani che però non sempre vengono per nuocere nell’utilizzo con la chitarra) risalenti agli anni ’60.

Per fare un esempio di quanto sia complicato il labirintico settore di mercato di cui sto parlando prenderò ad esempio il solo Klon Centaur. Dato il prezzo elevato dell’originale e la sua scomparsa dal mercato per un lungo periodo (che ne ha fatto schizzare poi letteralmente alle stelle il valore per motivi collezionistici), nonostante sia attualmente di nuovo in produzione ha dato luogo ad un numero di “alternative”, delle quali provo a fare un elenco forzatamente solo parziale.

Queste sono (sostanzialmente) reicarnazioni vere e proprie

JOYO TAUREN
Ceriatone Centura
Electro Harmonix Soul Food
MXR Sugar Drive
WAMPLER Tumnus
JHS Klone
NUX Horseman
Rimrock Effects Mythical Overdrive
MONSTERPIECE Fuzz Stud
ARC Effects Klone
WAY HUGE CONSPIRACY THEORY
Chellee Ponyboy V3
STIGTRONICS Tone Vitamin
PEDALMONSTERS Klone
J Rockett Archer Ikon
TONE BAKERY Creme Brulee
RYRA The Klone
IDIOTBOX HAN-TAUN

e questi sono invece rivisitazioni più o meno vicine all’originale

Proanalog Devices Manticore V2
Wampler Tumnus Deluxe
Greenchild Kursk
Wilson Effects Lusus Naturae
Anasound Savage MKIII
MojoHandFX Sacred Cow
Nordvang Wingman
Bondi Effects Sick As
Foxpedal Kingdom V3
Matthews Effects The Architect V3
Rawkworks Light OD
J Rockett Rockaway Archer

UTILIZZO DELL’OVERDRIVE

L’utilizzo chitarristico dell’overdrive è estremamente semplice.
Nella sua accezione più comune offre tre parametri: Drive, Level e Tone.
Molti overdrive posseggono controlli aggiuntivi che colorano il sound in vario modo, così come accade nei preamp degli amplificatori… Caso per caso possiamo trovare filtri di equalizzazione o modalità di funzionamento diverse, come la selezione di diodi al germanio per distorsioni più “vintage” in alternativa a quelle dei componenti al silicio e così via.
Viene posto normalmente in fronte all’amplificazione, potendolo utilizzare anche come booster nel caso in cui si regoli il parametro Drive a valore molto basso e il Level molto alto. Dato l’intento di simulazione di un amplificatore in “crunch” la maggior parte degli overdrive parte da una condizione di suono pulito (Level MAx, Drive Min), che via via viene progressivamente portato in distorsione.
Un buon overdrive dovrebbe reagire all’abbassamento del volume della chitarra allo stesso modo del preamp di un amplificatore, cioè ripulendo il segnale quasi del tutto. In realtà ciò non sempre accade e non dipende soltanto dalla qualità del pedale, ma anche dalle scelte operate dal costruttore…