Decidere di acquistare uno strumento usato implica essere preparati al fatto che si possano rendere necessari lavori di ripristino di qualche entità.
Certamente foto e contatto diretto con chi vende possono aiutare a farci fare un’idea relativamente realistica di come stiano le cose. Fino a quando però non abbiamo lo strumento in mano e lo possiamo esplorare palmo a palmo è molto difficile stabilire con esattezza il suo stato effettivo di conservazione. Se poi i proprietari sono stati più di uno è spesso difficile prevedere se esso abbia subito o meno nel tempo riparazioni o modifiche e sopratutto interventi più o meno appropriati che meritino un ripristino.
L’INIZIO
Nella mia annosa ricerca di chitarre archtop in stile Gibson L5 che ripropongano da vicino la timbrica di questo storico strumento senza dover necessariamente attivare un mutuo per poterlo pagare (!) mi sono imbattuto in una non molto diffusa interpretazione storica ad opera della nipponica Yamaha.
SPECIFICHE DEL “RIFERIMENTO”

La Gibson L5 è una chitarra semiacustica di tipo hollowbody con cassa da 17″, tavola armonica in abete massello, fasce e fondo in acero ed un imponente attaccacorde in metallo che porta inciso il nome del modello. Il manico è costruito in listelli di acero e noce, il ponte mobile in ebano, la tastiera anch’essa in ebano con segnatasti in madreperla e 20 tasti in scala 25,50″.
Prodotta fin dal 1922 (inizialmente in versione acustica) negli anni ’50 acquisisce 1 o 2 pickup (prima P90, poi PAF o minihb) ciascuno con volume e tono, combinabili con un selettore a tre posizioni.
Finiture di lusso a partire dal triplo binding che adorna l’intero profilo del corpo, del manico e della paletta per finire al calice in madreperla intarsiato su quest’ultima.
Fa parte della fascia più alta del catalogo Gibson, oggi prodotta sostanzialmente solo su ordinazione e caratterizzata da quotazioni ben poco avvicinabili anche sul mercato dell’usato, per non parlare di quello del vintage.
LE YAMAHA SERIE “AE”
La serie AE di Yamaha comprende vari modelli di chitarre archtop a cassa alta, tutti prodotti in Giappone.
E’ nata nel 1967 ed è rimasta bene o male in produzione, con modelli differenti, fino alla metà degli anni ’90.
Si tratta di una produzione di fascia alta dalla qualità costruttiva e progettuale ineccepibile, di ispirazione decisamente gibsoniana. Scontano però la minor considerazione da parte del mercato rispetto alle produzioni statunitensi, che fa sì che questi strumenti vengano impropriamente considerati dal pubblico come delle seconde scelte.
All’inizio degli anni ’80 la Yamaha comincia a produrre una nuova archtop di gamma alta e la chiama AE1200. Nella seconda metà dello stesso decennio, la rimpiazza con le versioni “1200S” e “2000S” che introducono modifiche significative nella liuteria: la tavola armonica diventa infatti solida, in abete massello, curvato a caldo nella 1200S e scavato nella 2000S.
La produzione cessa nel 1994, probabilmente per un rapporto costi/ricavi ritenuto poco favorevole per l’azienda, dato il grado delle finiture elevato dei questi modelli a fronte di un prezzo di vendita assai competitivo ed al contempo di una diffusione limitata.
YAMAHA AE 1200S VS GIBSON L5
Differentemente da altre proposte emulative dell’epoca la Yamaha AE1200S condivide con il suo modello di riferimento americano molte delle caratteristiche sostanziali: forma, proporzioni, legno e raggiatura della tastiera, struttura del manico e sopratutto, come abbiamo detto più sopra, la costruzione in abete massello della tavola armonica. A tutto questo si affianca una scelta anomala per le essenze di fondo e fasce, che sono faggio e betulla anziché il più canonico acero. Le specifiche dicono però che la scala del manico Yamaha è appena più corta di quello Gibson, essendo 25-3/16″ invece che 25,50″. Probabilmente si tratta dunque di scelte progettuali tese a controllare la timbrica risultante.

A proposito di timbrica, l’elettronica consta di due pickup humbuckers in alnico V progettati su specifiche di tipo vintage-PAF, che pur condividendo il cablaggio a tono e volume dedicati usato da Gibson sono abbinati a controlli di tono push-pull che ne permettono lo split di bobina. Scelta particolare per una archtop di chiara ispirazione jazzistica, ma non casuale: Yamaha impiega infatti la stessa funzione anche su altri modelli semiacustici, come ad esempio l’ottima SA2200, modello in stile Gibson ES335 ancora oggi in produzione.
LA RICERCA
Una ricerca in rete mi ha messo di fronte al fatto compiuto che gli usati in vendita sul mercato sono pochi.
Gran parte di essi viene dalla madre patria, ma a parte i rischi connessi alle spedizioni via aerea dal Giappone (nonché i dazi doganali che appesantiscono i prezzi degli strumenti) ho rilevato che i prezzi sono di recente assai lievitati, nonostante si riferiscano spesso ad esemplari in condizioni ben lontane da quelle ottimali.
Ho focalizzato allora la mia ricerca in Italia e mi si sono presentate due sole opzioni: una dal prezzo decisamente elevato rispetto alla media, relativa ad uno strumento in ottime condizioni, ma ampiamente modificato. L’altra dal prezzo onesto e trattabile, in condizioni discrete e completamente originale.
Dopo una rapida valutazione le mie preferenze sono andate alla seconda delle due e in breve ho concluso l’affare.
LA “MIA” AE 1200S
Ho acquistato uno strumento del 1988, la cui liuteria (compresi tasti e tastiera) è ancora in buono stato, dal momento che è stata utilizzata poco. La serie AE era prodotta esclusivamente con hardware dorato ed è inevitabile che questo negli anni tenda ad ossidarsi.
Ad aggravare la situazione nel caso particolare c’è però il fatto che la chitarra è stata tenuta al chiuso per molto tempo in ambiente umido: si tratta di una condizione relativamente positiva per i legni, che non seccano, ma non certo un toccasana per parti metalliche e componenti elettronici!

Il proprietario precedente, ad ogni modo, ha ritenuto di apportare una serie di modifiche a suo giudizio migliorative, non volendosi arrendere alla fioritura progressiva delle dorature che affligge tutte le parti in metallo. Ha agito sostituendo le manopole dei controlli originali in plastica dorata con altre in metallo solido, verniciando gran parte dell’hardware ossidato con una vernice dorata e rifacendo il cablaggio interno, per eliminare la corrosione delle saldature e l’ossido formatosi nei cavi.
Ha infine sostituito le cover dei pickup e tutte le viti di montaggio (che disgraziatamente non ha conservato).
Tanta buona volontà presupporrebbe uno strumento esteticamente e funzionalmente vicino alla perfezione, ma già ad una prima ricognizione non pare che essa sia stata affiancata da altrettanta oculatezza nelle scelte!
I PROBLEMI

Ho subito notato che le cover montate sui pickup non presentano la corretta distanza, nè il giusto diametro dei fori attraverso i quali passano le espansioni polari. Esse infatti non coincidono e nemmeno passano bene attraverso di essi. A causa di ciò le coperture restano staccate e sporgenti rispetto alla superficie delle bobine. Per renderle più solidali con la struttura del pickup qualcuno le ha saldate tagliandone malamente un pezzetto per cercare di renderle più stabili, nonostante non siano evidentemente il modello corretto… insomma, un lavoro quantomeno discutibile!
Ad ogni modo sono anche ammaccate e rigate in vari punti, per cui l’intervento di sostituzione è d’obbligo.
L’OSSIDO
L’ossidazione avanzata di molte delle parti metalliche è stata mascherata coprendola con una vernice dorata applicata a pennello. L’effetto estetico è efficace su alcune di esse, ma per lo più da una distanza di alcuni metri (quella usata per le foto dell’inserzione, per intenderci…), mentre risulta brutto da distanza ravvicinata. A parte l’attaccacorde che in verità non è malaccio, molte superfici appaiono opache, bucciate o irregolari e per di più la vernice viene via facilmente.

I CONTROLLI
Le manopole originali dei controlli erano in plastica dorata: nel tempo devono essersi rotte o scheggiate, per cui sono state sostituite con altre di metallo dorato. Buona scelta dal punto di vista della qualità del materiale, ma l’estetica a mio giudizio poco si abbina al carattere classico dello strumento. Sono da cambiare.

SELETTORE
Il selettore dei pickup è bucciato e variegato di verderame a causa dell’avanzata ossidazione. Idem per il sostegno del battipenna e per i pomelli reggicinghia, che appaiono profondamente segnati da abbondanti fioriture di ruggine.

Come già detto, l’ampio attaccacorde è stato invece verniciato in maniera accettabile e per ora si può lasciare così com’è.
Anche la doratura del ponte (a corredo di serie ce ne sono due, ma l’altro è in ebano) è quasi completamente andata, decisamente brutta a vedersi. A meno di ridorare, l’unica soluzione è provare ad eliminarla.
VITI
Le viti di montaggio delle varie componenti sono state sostituite e questo sarebbe un bene, se non fosse che sono state impiegate normali viti zincate da ferramenta, sia pure anch’esse verniciate color oro, che non fanno decisamente un bel vedere, specie data la classe dello strumento.
MECCANICHE
Incredibilmente le meccaniche originali sono ancora accettabili, sia pure moderatamente ossidate. Sopratutto è bene che siano state lasciate in sede, dal momento che funzionano perfettamente. Conservano ancora buona parte della doratura originale, con presenza di ossidazione solo in alcuni punti e possono quindi essere recuperate.
PONTE
Il ponte utilizzato per queste serie è diverso dal clone “tune-o-matic” che Yamaha monterà negli anni a venire. Non ha la stessa forma e non è nemmeno compatibile come passo e distanza delle viti di montaggio. Presenta molta ossidazione e fioritura diffusa della doratura, per cui l’unica via è pulirlo a fondo rinunciando a parte dell’aspetto dorato.
Il supporto in ebano, così come il secondo ponte in ebano fornito di serie, sono invece in ottimo stato di conservazione.
BATTIPENNA
Il battipenna originale è nella custodia, smontato. E’ realizzato in nitrato di cellulosa tartarugato, un materiale semitrasparente poco fortunato perché tende a deteriorarsi negli anni, vetrificando. Si è infatti parzialmente sbriciolato ed è stato quindi sostituito per tempo. Il rimpiazzo impiegato è però un’economica cineseria in plastica tartarugata in stile Les Paul dall’improbabile dominante bordeaux. La staffa originale è fortemente ossidata ed è stata rimpiazzata da una staffetta di forma differente, per di più cromata, che proprio non mi piace.
IL PROGETTO DI RESTAURO
Come d’abitudine mi sono rimboccato le maniche ed ho smontato lo strumento in tutte le sue singole parti, cominciando a stabilire le cose da fare e i componenti da cercare/sostituire.
La lista dei componenti da sistemare prevede:
- viti
- manopole dei controlli
- indicatori di posizione dei controlli
- cornicette e cover dei pickup
- selettore pickup
- reggicinghia
- ponte
- battipenna e relativa staffa
Ho deciso di eseguire i seguenti interventi:
- sostituzione delle manopole dei controlli
- sostituzione delle cornicette dei pickup
- sostituzione delle cover dei pickup
- sostituzione dei pomelli reggicinghia
- sostituzione delle viti di montaggio
- eliminazione dell’ossido dai componenti metallici recuperabili (ponte, meccaniche, selettore pickup, indicatori di posizione, staffa del battipenna)
- controllo generale dell’impianto elettrico
- pulizia e lubrificazione dei potenziometri e del selettore dei pickup
- ricostruzione del battipenna
- eventuale rettifica dei tasti
- pulizia della tastiera e lucidatura dei tasti
- riassemblaggio
- cambio corde e setup completo
LA RICERCA DELLE PARTI MANCANTI
Rimediare parti originali Yamaha serie AE è risultato da subito impossibile: sul mercato pare che non ne esistano affatto. Dopo affannose ricerche ho individuato alcuni componenti che ben si prestano a sostituzioni esteticamente coerenti.
Tanto per cominciare, ho trovato viti di montaggio dorate e nere di bell’aspetto, coerente con quello delle originali, ricavate da foto di strumenti integri analoghi a questo, reperite in rete.

Le manopole originali Yamaha sono introvabili, ma per fortuna assai simili (zigrinatura a parte) a quelle che Gibson montava negli anni ’60 e che si trovano facilmente come rimpiazzo. Ho deciso per un set la cui tonalità di colore si abbini al meglio.


Tra le parti che tengo a magazzino mi sono ritrovato un paio di cornicette per i pickup in plastica di colore ed altezza coerenti, assieme ad un set di cover dorate per gli humbuckers, con spaziatura dei poli corretta.

Sono riuscito a trovare due nuovi pomelli reggicinghia dorati, praticamente identici a quelli di serie.

I LAVORI PROSEGUONO…
Ho deciso di lavorare di fino sul ponte, assieme alle altre parti metalliche non sostituibili. Ho smontato lo smontabile ed annegato ogni singola parte in una soluzione sgrassante, per poi eliminare delicatamente la fioritura e le dorature sollevate levigando ogni superficie accessibile con paglietta di ferro triplo zero. La successiva lucidatura con pasta apposita e protettivo al silicone ha riportato il metallo ad un aspetto semi-dorato che seppur sbiadito rispetto all’origine è esteticamente più presentabile.

Una volta finito il lavoro ho scoperto l’esistenza di supporti in ebano di terze parti ottimamente realizzati e dedicati specificatamente alla Gibson L5.
Presentano infatti il caratteristico intarsio in madreperla all’altezza delle basette di contatto con la tavola armonica che ne impreziosice l’aspetto.
Così, dato il costo abbordabile, ho deciso di procurarmene un paio ed uno di loro è andato a sostituire l’originale Yamaha, abbinato al ponte in ebano di serie della 1200S con il quale è risultato parzialmente compatibile (previa sostituzione dei perni di montaggio, che sono di sezione differente). E’ uno strappo alla correttezza filologica con la dotazione di serie, lo so, ma dato che aumenta la coerenza estetica con il modello di riferimento me lo sono concesso.

Il selettore originale dei pickup è ancora funzionante, per cui ho preferito pulirlo e recuperarlo, disossidato e sormontato da un nuovo pomello, piuttosto che sostituirlo.

Ho infine affrontato il discorso “battipenna”: l’originale di ricambio non si trova e montarne uno completamente diverso non mi è parsa una buona idea. Nella tasca interna della custodia rigida ho però conservato lo Yamaha semidistrutto e disponendo di un pantografo laser, ho deciso di utilizzarlo come riferimento per realizzarne una copia identica come forme e proporzioni.

Disegnato al computer l’oggetto e deciso di farlo in materiale acrilico da 3mm ho realizzato le parti: il corpo del battipenna nero satinato ed un bordo di acrilico bianco a guisa di “binding”.

Il risultato è stato soddisfacente e in poco tempo il nuovo battipenna ha fatto la sua comparsa sulla tavola armonica, assieme alla staffa originale che lo regge, opportunamente restaurata.

UNA SORPRESA
Apprestandomi a rimontare l’elettronica ho scoperto che mancava un collegamento a terra nel circuito: mi ero accorto in precedenza del fastidioso ronzio che la chitarra emetteva staccando le mani dalle corde, nonostante i pickup humbucker, ma non ne avevo individuato la causa! L’introduzione e la saldatura del relativo cavetto hanno riportato il circuito al dovuto silenzio.
MONTAGGIO
Piano piano ogni componente, rigenerato o del tutto nuovo, ha trovato la propria collocazione e lo strumento si è ricomposto gradualmente sotto i miei occhi.

Una leggera rettifica della tastiera e un’accurata regolazione del relief del manico mi hanno permesso di eliminare qualche buzz di troppo e di sfruttare un’action più comoda.
Ho pulito l’ebano, lucidato i tasti e montato nuove corde (un set flatwound della Elixir .011), dopodiché la suonabilità dello strumento è risultata eccellente.
Una volta regolate con precisione le ottave, gli accordi sono risultati ben intonati fino agli ultimi tasti.
Alla fine il risultato estetico è stato perfino migliore delle aspettative, ma sopratutto mi ha soddisfatto l’aver risolto tutti quei piccoli problemi, estetici e funzionali, che facevano capo a lavori eseguiti con approssimazione o ad errori di inesperienza che sia pure non tutti di grande entità, sommati non avrebbero fatto godere appieno dello strumento: sia suonandolo che più semplicemente contemplandolo.
CONSIDERAZIONI FINALI

Per concludere: è valsa la pena di acquistare una chitarra archtop di quasi quarant’anni di età?
Certamente la possibilità di realizzarne il restauro in proprio ha giocato un ruolo chiave, permettendomi di abbassare il costo complessivo degli interventi.
Se fossi dovuto ricorrere al lavoro altrui sarebbe stato probabilmente più saggio far notare le problematiche al venditore “tirando” maggiormente sul prezzo di acquisto, oppure optare direttamente per uno strumento più recente.
A queste condizioni, invece, il bilancio appare decisamente positivo a fronte dei risultati ottenuti.
A questo punto la Yamaha AE 1200s dell’88 è pronta a regalarmi anni di performances privi di problemi e mi pare giunto il momento, sia pure in pochi secondi, di farvi anche ascoltare come suona, che in fin dei conti è la ragione essenziale per la quale tutto questo lavoro è stato fatto. Buon ascolto!
AGGIORNAMENTO APRILE 2024:
Dopo svariati mesi di utilizzo la chitarra ha mostrato una serie di imperfezioni a livello di tastiera che con i miei interventi non ero riuscito ad eliminare del tutto e che abbassando l’action causavano fastidiosi “buzz”. Ho preferito questa volta affidare il lavoro “definitivo” ad un amico liutaio di comprovate capacità in modo da portare la chitarra al suo massimo di efficienza. Una volta esaminati i difetti, abbiamo deciso di eseguire una rettifica completa della tastiera, che eliminasse ogni minima imperfezione nel posizionamento dei tasti, in modo da permettere una regolazione dell’action molto bassa e priva di buzz di qualsiasi tipo. E’ stato un lavoro impegnativo, ma assai fruttuoso, che ha modificato radicalmente la timbrica dello strumento facendo finalmente mantenere anche alle note acute quella “pancia” nell’attacco tipica delle hollowbodies di questa categoria.
Rivitalizzati da questo eccellente risultato e dal giudizio particolarmente lusinghiero nei confronti della costruzione e della progettazione a livello liuteristico dello strumento, abbiamo notato come il battipenna da me realizzato in acrilico nero risultasse poco integrato dal punto di vista estetico con il resto delle finiture. Abbiamo quindi pensato che la soluzione più elegante fosse con un modello identico (che riproduca quindi ancora la forma dell’originale), ma realizzato in ebano ed acero. Grazie alla precisione della lavorazione il risultato è stato davvero appagante ed ha donato ulteriore pregio estetico a questa Yamaha AE1200S del 1988!
