Una vintage “cum grano salis”…

A volte nella vita, alcune esperienze restano impresse a lungo e determinano scelte future anche molto distanti nel tempo.

L’EPISODIO

Non ricordo più quanti anni fa, ma certamente più di trenta, mi capitò di provare sotto le dita una Gibson d’epoca che mi fu presentata come un vero gioiello.
Chitarra difficile da trovare poiché prodotta in pochi esemplari, un modello a cassa vuota dall’estetica e finiture decisamente accattivanti, tipiche delle produzioni di fascia alta del celebre marchio americano. Verniciatura sunburst alla nitro, acero massello molto figurato per fondo, fasce e manico, tastiera in ebano con segnatasti in madreperla, tavola in abete, cassa a spalla veneziana, hardware dorato e due pickup humbucker, naturalmente i famosissimi PAF.

una Byrdland d’epoca, in versione “natural”. Si noti la stretta parentela con il modello L5 raffigurato nella foto più sotto

Lo strumento in questione era una Gibson Byrdland, modello nato nel 1955 dalla collaborazione tra l’azienda americana e due noti chitarristi dell’epoca: Billy Byrd e Hank Garland. Esso deriva dal modello L5CES rispetto alla quale rappresenta una versione “thinline”, cioè con profondità di cassa ridotta e fin dal suo esordio si colloca assieme ad essa in una posizione di vertice del catalogo Gibson.
La sua principale particolarità è senz’altro costituita dalla lunghezza del diapason. E’ infatti costruita sulla base di una scala insolitamente corta, che misura solamente 23.5 pollici (596mm). Il manico parte con un capotasto di soli 41mm (contro i classici 43) e si allarga assai meno del solito lungo la tastiera da 22 tasti.
Per questo motivo i pickup PAF che la equipaggiano non hanno la classica spaziatura dei poli da 49.2 mm, ma sono gli speciali “narrow spaced PAF”, versioni dedicate a questo e pochi altri modelli di semiacustiche, la cui spaziatura si riduce a 46 mm.

SUONO E SUONABILITA’

Anche nel carattere sonoro lo strumento richiama da vicino la cugina L5, ma i bassi sono più contenuti e l’attacco della nota risulta più morbido. La scala corta rende la tensione delle corde particolarmente bassa e conferisce allo strumento una suonabilità inaspettata anche con mute di sezione importante. Il capotasto più stretto e la presenza di 22 tasti portano chi abbia mani particolarmente grandi a potersi trovare in impaccio sulla tastiera, con corde e note più “ammucchiate” tra loro e questo costituisce il motivo per il quale non tutti i chitarristi jazz gradiscono questa soluzione.

Una volta presa in mano quella Byrdland la trovai leggera e molto bilanciata, ma la cosa che mi sorprese maggiormente, oltre alla timbrica eccellente, fu quanto la suonabilità fosse ideale per le mie mani non particolarmente grandi.
Un’esperienza dunque assai positiva! Ogni ipotesi di eventuale acquisto si infranse però contro il valore economico elevatissimo dello strumento, datato 1965, che lo rendeva per me giovane chitarrista sostanzialmente inavvicinabile.

Da quella prova, però, suono e suonabilità della Gibson Byrdland si ritagliarono un posto di elezione tra i ricordi che si sono mantenuti vivi nel tempo al punto da diventare, spesso inconsapevolmente, un termine di paragone per le mie scelte future.

SOGNI REALIZZATI E NON

Per molti anni il mio punto di arrivo per il suono jazz è stato la Gibson ES175, scelta che ho ritenuto definitiva una volta imbattutomi in un modello “natural” dell’88 che posseggo tutt’ora e che trovo ottima. La Gibson l’ha messa fuori produzione nel 2017, riducendo anche la disponibilità di gran parte dei modelli a cassa alta precedentemente a catalogo. I prezzi, di conseguenza, sono ulteriormente saliti tanto sul nuovo quanto sull’usato, per cui quando il mio interesse si è esteso alle sonorità delle chitarre tipo “L5” il loro acquisto si è rivelato nuovamente fuori dalla portata delle mie tasche, se non in poche incarnazioni realizzate da produttori diversi da Gibson.

Gibson ES 175 natural del 1988
una Gibson L5CES in finitura “sunburst”

LA RICERCA

Dopo varie acquisizioni fortunate mi sono reso conto che il parco delle sonorità in mio possesso era più che completo. L’unica sfumatura che mancava all’appello era quella della chitarra che per prima avevo apprezzato, ma anche eliminato dalla lista delle “papabili”: un desiderio mai sopito, che negli anni non si era mai presentato nemmeno come acquisto ipotetico, data la rarità e le quotazioni in continuo rialzo.
Così, sia pure a tempo perso e senza troppa fiducia, ho cominciato a sbirciare saltuariamente nel web a caccia di possibili occasioni. Ricerca complicata, in quanto la scarsa reperibilità di questo modello lo rende una preda ambita, sfuggente e costosa tanto nel mercato del nuovo quanto in quello dell’usato o del vintage.

L’OCCASIONE

Quando meno me lo sarei aspettato, però, all’inizio di questo 2024, un esemplare d’epoca che in ragione della datazione non troppo indietro nel tempo (1969) e della presenza di alcune parti non originali è considerato meno appetibile in ambito collezionistico, fa capolino da un sito tedesco. In questi casi il prezzo degli strumenti si contiene entro range comunque alti, ma più avvicinabili… si tratta però di capire con che tipo di strumento si abbia a che fare, sopratutto per evitare fregature.

la Byrdland del 1969 nelle sue condizioni di partenza
(si notino il battipenna non allineato con i pickup e la cordiera piegata dalla parte dei cantini)


Valutata la situazione e data la completa garanzia fornita dal noto negozio specializzato in vintage che ne curava la vendita, ho deciso alla fine di acquistarla, non senza la dolorosa obbligata premessa di vendere più d’una chitarra facente parte del mio parco strumenti precedente.

IL RESTAURO

Le “mancanze” consistevano essenzialmente nel ponte tune-o-matic, al cui posto vi era una copia di fabbricazione giapponese, nella mancanza del battipenna, sostituito con uno di forma diversa e non combaciante con scassi e posizione dei pickup e nella parziale cancellazione della dicitura “CUSTOM” presente sulla campana del truss-rod. La finitura nitro colore “walnut” era opacizzata in varie parti e all’interno della custodia (la “Victory” originale) faceva brutta mostra di sé un profilo dell’imbottitura modificato in modo decisamente maldestro tramite un inserto in polistirolo coperto da una calza di nylon (!), con il cassettino danneggiato, privo di linguetta e mal posizionato.

il ponte TOM giapponese non originale

la scritta parzialmente cancellata della cover del truss-rod

l’interno della custodia Victory con imbottitura modificata e cassettino da sistemare

PONTE

La ricerca del ponte non è stata semplice, più che altro perché il mercato del vintage è gremito di falsi e per di più ogni cosa è proposta a prezzi che definire folli è un eufemismo. Tempo e pazienza sono stati però buoni alleati e sono giunto finalmente al reperimento di un TOM (tune-o-matic) originale appartenuto proprio ad una semiacustica del 1969, con tanto di corretto numero di brevetto in rilievo nel metallo, che mi sono fatto spedire dagli USA ad un prezzo (relativamente) ragionevole.

il brevetto impresso in rilievo del TOM del ’69
il tune-o-matic dorato del 1969 con le relative sellette ed il loro fermo a molla originali

BATTIPENNA

Tentare di reperire un battipenna originale è una causa persa. Originariamente prodotto in un elegantissimo acetato di celluloide semitrasparente tartarugato, negli anni vetrifica e progressivamente si sbriciola in mille pezzi, motivo per il quale risulta mancante o sostituito con uno più recente in normale celluloide sulla maggior parte degli strumenti d’epoca. Spendere una fortuna per un esemplare in buono stato di conservazione implica quindi dare per certo che entro breve farà la stessa fine del suo predecessore.
Esistono però artigiani specializzati che realizzano raffinate e perfette riproduzioni di queste parti, utilizzando materiali innovativi che garantiscono una durata indefinita e priva di alterazioni nel tempo, garantendo nel contempo il rispetto scrupoloso di forma, proporzioni ed aspetto estetico degli originali.
E’ ad uno di loro che ho deciso di rivolgermi, in Spagna. Dopo circa un paio di mesi di attesa mi ha risolto brillantemente il problema. Il materiale utilizzato è lo stesso acetato tartarugato semitrasparente che compone l’originale, ridotto però ad uno strato sottile fuso tra due lamine trasparenti di metaacrilato che ne eliminano ogni possibilità di esposizione all’aria impedendone quindi il progressivo deterioramento. Completano l’opera gli stessi bindings ornamentali presenti nell’originale.

Il formidabile battipenna ricostruito appena finito

COVER DEL TRUSS ROD

Per restaurare la cover del truss rod ho agito manualmente ricostruendo la parte cancellata dell’incisione “CUSTOM” con una piccola quantità di smalto, di colore coerente, colata con attenzione e lasciata asciugare nella sede originale.

la cover originale dopo il restauro

ESTETICA E SETUP

L’intero strumento ha subito un completo smontaggio delle varie parti e componenti. Ho pulito e trattato i legni con polish e paste lucidanti apposite per finiture alla nitro, ottenendo un buon miglioramento dell’aspetto generale ed al tempo stesso una protezione delle superfici, che certo dovrò periodicamente rinnovare.
Quando si fanno questi trattamenti su strumenti d’epoca ritengo sia importante rispettare il vissuto che lo strumento ha accumulato nell’utilizzo. In questo caso parliamo di 55 anni di vita, per cui i graffi, gli scortichi e le ammaccature presenti sono rimaste esattamente dove e come erano.

Una volta riassemblata e preso nota di tutte le piccole cose ancora da sistemare, ho fatto sottoporre la chitarra ad un’attenta revisione da parte dell’amico liutaio Samuele Fabbri. Egli ha effettuato una completa rettifica della tastiera, la lucidatura dei tasti, la regolazione fine del relief del manico e la correzione dell’assetto della cordiera, da ripristinare a causa di un’inclinazione errata causata da un piegamento forzato subito in passato. Durante questi interventi ho potuto anche constatare che tutta l’elettronica a bordo era originale ed in perfetto stato di funzionalità, a cominciare dai pickup PAF, spesso sostituiti da esemplari più recenti di minor valore e venduti a parte. In questo caso, trattandosi della versione a spaziatura stretta, la sostituzione era poco praticabile ed in effetti sono risultati essere entrambi originali.

comparazione tra etichette di PAF “patent. no.” falsificate ed autentiche

LA CUSTODIA

Anche l’interno della custodia è stato interamente restaurato spostando all’indietro il cassettino, ricostruendo la linguetta in pelle per la sua apertura e sopratutto eliminando la bruttissima modifica eseguita sull’imbottitura, sostituita da un nuovo profilo basato su curve in legno verniciato realizzate ad hoc, molto eleganti e quasi invisibili al primo sguardo, che riutilizzano il materiale originale garantendo allo stesso tempo una perfetta aderenza alle curve dello strumento una volta riposto all’interno dell’astuccio.

chitarra e custodia a restauro finito

Ma come suona questa Byrdland del 1969?
Beh, se siete arrivati a leggere fin qui mi pare certamente il caso di farvela ascoltare!!